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sabato 28 novembre 2020

Di arte, di cultura, di fumetto, di ignoranza e (naturalmente) di supercazzole

Cesare Maria Pietroiusti
Presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo di Roma

La parola e il concetto di ARTE (così come quella/quello di ARTISTA) mi hanno sempre messo in difficoltà.
I motivi sono tantissimi, a cominciare dal significato della parola ARTE. Anzi, dai diversi significati che ha, che può assumere e che le vengono attribuiti. Per mantenermi il più neutrale possibile, almeno in queste prime righe, vi rimando alla pagina del dizionario Treccani in cui si illustrano i principali significati (click QUI per leggerla).
Ma il discorso non si ferma certo alla definizione "treccaniana", sia per la complessità degli argomenti in gioco, che per la varietà dei cervelli umani che continuano ad attribuire significati, interpretazioni e sfumature sempre differenti. Da una parte, questa proliferazione di significati, interpretazioni e sfumature è senz'altro normale per via dei tempi e dei contesti che cambiano: nel Rinascimento ARTE e ARTISTA, con buone probabilità, avevano accezioni differenti da quelle di oggi. O, se non differenti, probabilmente più limitate e circoscritte. Dall'altra parte, l'analfabetismo di ritorno che interessa la nostra epoca da almeno trent'anni, porta milioni di persone a considerare ARTE anche quella di un/una qualsiasi presentatore/trice blateratore/trice di talk show televisivo o quella di un/una valletto/a capace a malapena di esibire le sue grazie (per fare solo due esempi presi dal mucchio).
Di conseguenza, una miriade di persone/personaggi mediocri e dotati solo di parlantina "a mitraglia" o di corpi attraenti si trasformano automaticamente in ARTISTI per l'opinione pubblica media.
La tendenza va sempre più nella direzione di sovrapporre automaticamente i concetti di ARTE/ARTISTA con quelli di INTRATTENIMENTO/INTRATTENITORE senza quasi prevedere più che un artista non per forza deve essere intrattenitore (e viceversa): può succedere, ma non è sempre valido. Stessa cosa vale per gli accostamenti tra ARTE/ARTISTA con INDIVIDUI CAPACI DI DIRE/FARE COSE ECLATANTI, STUPEFACENTI, DISTURBANTI O AVANGUARDISTICHE.
La costante perdita di parole nel nostro vocabolario quotidiano ci fa raggruppare in categorie improprie una serie di concetti che in realtà andrebbero collocati in categorie differenti. Ma, appunto, non abbiamo più a disposizione i vocaboli (e quindi le categorie) per farlo. E così la sintesi diventa banale semplificazione, con il risultato di rendere tutti più ignoranti, incapaci e inconsapevoli.

E ora veniamo al punto.

Qualche giorno fa, sulle pagine del quotidiano Il Messaggero, Cesare Maria Pietroiusti (artista/avanguardista nonché presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo - ente pubblico di Roma Capitale) ha dato l'avviso di sfratto al celebre festival del fumetto ARF dai locali dell'ex Mattatoio di Testaccio, in cui il festival si tiene da diversi anni. Queste sono le sue parole: "(il mandato ricevuto dall'Amministrazione Capitolina) prevede la valorizzazione del Mattatoio come spazio di formazione, didattica, produzione e presentazione delle pratiche legate alle arti performative". Poi, ancora: "Tutte le mostre saranno a cavallo tra arti visive e performative. Grande spazio sarà dato alla formazione (...)" e (il fumetto) "difficilmente potrebbe rientrare nelle arti performative". Infine: "Il festival ha una parte commerciale, e affinché una sezione economica possa essere contemplata occorre una motivazione culturale".
In soldoni, Pietroiusti dice che il Festival ARF non può più stare all'ex Mattatoio di Testaccio perché il fumetto non è un'arte performativa (e forse neanche visiva); con il fumetto non si fa didattica e/o formazione; la parte commerciale del festival non è sorretta da una motivazione culturale.
Insomma, Pietroiusti, che, come si evince dall'immagine in apertura e da quella qui sotto, è un artista visivo-performativo che fa didattica e formazione e che non si sognerebbe mai di commercializzare la sua arte senza una motivazione culturale, non ne azzecca nemmeno una.

Pietroiusti durante una sua performance artistico/avanguardista

Perché?

1) Il fumetto, linguaggio visivo per sua stessa natura, è (o, comunque, può essere) ARTE. Non tutti i fumetti sono arte, questo lo sanno anche gli asini, così come anche gli asini sanno che non tutti i film, i quadri, le opere teatrali, le opere musicali, le sculture e le performance avanguardistiche sono arte. Quindi, per la proprietà transitiva, il fumetto è (o, comunque, può essere) ARTE VISIVA.
E questo è un dato oggettivo. Solo un ignorante può sostenere il contrario.

2) Il fumetto è (o, comunque, può essere) ARTE PERFORMATIVA.
Vent'anni fa, la "mia" associazione culturale nata nel 1997 per lo studio, la diffusione e la promozione del fumetto (Chine Vaganti) fu invitata in un comune della Sardegna in cui si teneva l'incontro dei Consigli Comunali dei Ragazzi di svariati comuni di tutta l'isola.
Si fecero mille iniziative all'aperto, nelle strade e nelle piazze del paese. Centinaia di bambini, ragazzini e adulti furono coinvolti in una miriade di attività ludiche, didattiche, formative e culturali, tra cui le nostre legate al fumetto e al linguaggio per immagini (ARTE VISIVA? Chissà...). I nostri disegnatori si produssero in realizzazioni dal vivo, di fronte a questa marea di persone, disegnando tavole a fumetti su fogli di varie grandezze, da sceneggiature che io e altri sceneggiatori come me avevamo scritto nelle settimane precedenti.
Questo microscopico esempio non è certo né il primo, né l'unico, né l'ultimo e né il più rilevante delle migliaia di altri che da sempre autori (piccoli, medi, grandi e grandissimi), fiere e festival di settore fanno in tutta Italia e in tutto il mondo:
- sceneggiatori riuniti in grandi stanzoni che lavorano a più mani contemporaneamente;
- disegnatori che lavorano con matite, inchiostro di china e/o colori di varia natura su supporti reali (carta, pannelli di altri materiali, muri, ecc.) o virtuali (schermi collegati alle loro tavolette grafiche, ecc.).
Il tutto come esperienze dal vivo, di fronte e a contatto con il pubblico. A quel che mi risulta, l'ARF lo ha sempre fatto, coinvolgendo anche autori di grandissimo livello, che sono assolutamente considerabili e considerati ARTISTI.
Anche la capacità performativa del fumetto è, dunque, un dato di fatto. Solo un ignorante può sostenere il contrario.
Su questo punto aggiungo una piccola nota finale: ma che definizione di merda è "ARTE PERFORMATIVA"? Bleah!

Altra performance artistico/avanguardista di Pietroiusti

Performance fumettistica al Festival ARF (Roma)

Performance fumettistica al Festival ARF (Roma)

3) Il fumetto, come e più di molte altre arti, è un veicolo incredibilmente efficace e STRA USATO da sempre per la DIDATTICA e la FORMAZIONE. E non parlo solo delle tantissime ed eccellenti scuole di fumetto che troviamo in tutta Italia e in tutto il mondo.
Mi riferisco anche alla fenomenale funzione che esso può avere nella didattica a tutti i livelli. Basti pensare a quanto sia utilizzato nei processi di educazione all'immagine per i bambini e i ragazzini (giusto per tornare al fatto che sia o meno un'ARTE VISIVA). Basti pensare a come educa le persone a decodificare e correlare il linguaggio delle parole e quello delle immagini. E a quanto possa essere determinante per lo sviluppo dei processi di logica di base, in virtù della sua peculiare (e certificata) caratteristica di ARTE SEQUENZIALE (definizione coniata da quel genio di Will Eisner, uno degli artisti del fumetto più importanti di ogni epoca). Se poi qualcuno non dovesse aver mai sentito parlare di arte sequenziale in riferimento al fumetto, e se non sapesse a cosa si riferisca, allora è ancora una volta un problema di ignoranza.

Dal 1998, io faccio corsi e laboratori di fumetto nelle scuole (primarie, secondarie di primo e secondo grado, svariate situazioni extrascolastiche, Scuola di fumetto Fumé di Cagliari). Una volta ho portato il fumetto anche all'Università di Cagliari, grazie a un gruppo di studio sul fumetto costituito da (e di) docenti del medesimo ateneo, insieme ad alcuni altri docenti universitari di Roma e Nanterre. Ho fatto ormai centinaia di corsi, laboratori, workshop, mostre e altre attività legate al fumetto con migliaia di allievi. Attraverso il fumetto, i miei allievi hanno studiato e approfondito fatti e personaggi storici, geografia, opere della letteratura, problematiche legate alla salvaguardia dell'ambiente, ai sentimenti, a questioni sociali, alla protezione degli animali a rischio di estinzione. In alcune circostanze ho mixato il linguaggio del fumetto con quello del teatro e con altri linguaggi. Ho lavorato con bambini e ragazzini su questioni relative all'emancipazione femminile, portando in giro uno dei libri a fumetti che ho scritto e pubblicato. E questo, solo per restare nel mio ambito microscopico.
Per ampliare il campo, dico che queste cose le fanno una miriade di altri autori e operatori del settore in mille contesti differenti: dalla scuola pubblica a quella privata, dagli enti pubblici alle biblioteche, dalle librerie ai musei, dalle associazioni alle aziende private, dalle fiere ai festival culturali, ARF compreso (con workshop, laboratori esperienziali, masterclass anche di altissimo livello, ecc.).
Senza contare quanto il linguaggio del fumetto sia utilizzato nelle accademie e nelle scuole d'arte, così come in corsi e scuole di comunicazione, come materia "apripista" e spesso propedeutica per un ventaglio ampissimo di linguaggi artistici e creativi.
Tutte queste cose sulla valenza didattica e formativa del fumetto sono ennesimi dati di fatto. Solo un ignorante può sostenere il contrario.

Fumetto e didattica al Festival ARF (Roma)

Fumetto e formazione al Festival ARF (Roma)

4) Introduco quest'ultimo punto con una serie di domande: quando un pittore vende quadri nel contesto di mostre, fiere e festival di settore, forse non incassa dei soldi per i suoi lavori (o per le riproduzioni/stampe degli stessi)? Qualcuno obietta qualcosa? E se lo fa uno scultore nei contesti appropriati, che succede? Quando si va ad assistere a spettacoli teatrali o musicali, forse non si paga il biglietto? Forse qualcuno ha da obiettare per questo?
Tutto va bene finché non ci sono i famigerati fumetti di mezzo: quei "disegnetti" che ancora qualcuno si ostina pervicacemente a considerare lo scarto dello scarto, ignorando che il fumetto, da sempre e in tutto il mondo, Italia compresa, ha partorito (e continua a partorire) artisti di caratura elevatissima e opere d'arte immortali, spesso rivoluzionarie e, in ogni caso, straordinarie.
Perché dunque l'artista/avanguardista nonché presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo di Roma deve porre la questione della necessità di una "MOTIVAZIONE CULTURALE" per l'esistenza di una sezione dedicata al commercio SOLO ED ESCLUSIVAMENTE in rapporto ai fumetti dell'ARF? Forse dà per scontato che in un festival di pittura o scultura o teatro quella motivazione ci sia già per il solo fatto che si tratta di pittura, scultura o teatro, mentre per il fumetto no? Sulla base di quale teoria, convinzione o ragionamento? Sembra evidente che il suddetto artista/avanguardista/presidente ignori totalmente la recente azione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che, attraverso la sua Direzione Generale Creatività Contemporanea, riconosce e include formalmente il fumetto tra le discipline di cui già si occupa: arte contemporanea, architettura, fotografia, videoarte e arti applicate, moda, design.

Che il fumetto fosse un generatore e un veicolo di CULTURA è l'ennesimo dato di fatto che sapevano già tutti, anche gli asini. Solo un ignorante, anzi, un asino ignorante può sostenere il contrario.

L'ARF è uno dei tantissimi festival che sostengono
e promuovono il valore culturale del fumetto

Chiudo con qualche altro quesito.

Ha più rilevanza culturale il fumetto o certa pseudo arte performativa in cui certi pseudo artisti avanguardisti compiono gesti astrusi, eclatanti o perfino idioti, nella vana speranza di scioccare, colpire o turbare qualcuno? Ha più valore culturale la storia mondiale e ultracentenaria di un medium come il fumetto o le supercazzole che certi artisti avanguardisti cercano di somministrare al pubblico per giustificarsi di aver defecato nudi in un parco?
Lei, caro signor Pietroiusti, sa qual è la risposta?
Eh, no che non lo sa! Come non sapeva nessuna delle cose che ha sparato a vanvera sul fumetto per giustificare lo sfratto dell'ARF dall'ex Mattatoio di Testaccio.
Bene, gliela dico io.
La risposta è che se per lei ha più valore la pseudo arte performativa proposta dallo pseudo artista supercazzolaro, la stragrande maggioranza dei fumettisti non si pone neppure il problema. Perché per la stragrande maggioranza dei fumettisti ogni forma di espressione, se è onesta intellettualmente, ha la medesima dignità e ha gli stessi diritti di essere praticata e proposta al pubblico.
Per cui, scenda dal suo piedistallo e, se è davvero l'artista che dice di essere, ragioni con una mentalità votata al dialogo e, soprattutto, alla conoscenza e alla comprensione profonda di ciò che non conosce. Smetta di osteggiare chi è diverso da lei e dal suo mondo. Sia capace di vedere e di ascoltare. Del resto, lo stipendio che lei percepisce quale presidente dell'ente a cui è stato messo a capo, la obbliga deontologicamente a essere un "dirigente di cultura" e non un talebano settario e squadrista.
Faccia la cortesia, svolga con spirito di servizio il suo lavoro.
Oppure lo lasci fare a qualcun altro più dotato, più qualificato, più intelligente, meno snob, meno arrogante e meno ignorante di lei.


Nota (1): ho preso le immagini di Pietroiusti da alcuni siti web facilmente rintracciabili da chiunque.

Nota (2): ho preso le immagini del festival ARF dalla pagina facebook dello stesso festival. Le scritte in quelle foto (ironicamente polemiche) sono state inserite degli stessi organizzatori dell'ARF, a indicare tutto ciò che Pietroiusti non riconosce al medium fumetto e al festival ARF: caratteri che, in realtà, sono parte integrante DA SEMPRE sia dell'uno che dell'altro.
Beata (o maledetta) ignoranza!

domenica 22 novembre 2020

Come NON si scrive una storia: il caso del nuovo spot di Telefono Azzurro













Pochi giorni fa è stato lanciato il nuovo spot del Telefono Azzurro.
Ci sono una marea di cose sbagliate in questo "lavoro", realizzato dall’agenzia di comunicazione Havas Milan (un grosso network con quartier generale a New York, 20.000 dipendenti in 100 Paesi del mondo e due sedi italiane a Milano e Roma) con l'approvazione convinta dei vertici dello stesso Telefono Azzurro.
I problemi (gravissimi) riguardano proprio l'ideazione, la scrittura e la realizzazione dello spot, e vengono molto prima delle implicazioni “a valle” che hanno scatenato (a buon diritto) l’ira degli amanti degli animali e degli animalisti (due “categorie” non necessariamente coincidenti), degli educatori e di moltissimi cittadini italiani.
Sono lacune (ma è più appropriato parlare di voragini) di natura tecnica e creativa. Errori che qualsiasi studente di un corso base di comunicazione risolverebbe, grazie ai suoi docenti e a una sufficiente applicazione negli studi, fin dalle primissime lezioni.
Ne indico alcuni.

1) La decisione di ambientare la vicenda in una situazione di emergenza che richiama, in via prioritaria, l’intervento dei Vigili del Fuoco e non del Telefono Azzurro. Questo è il primo errore grossolano: se vuoi parlare di un problema (specie in uno spot di pochi secondi), concentra l’attenzione del pubblico su quel problema, senza disperderla in altre direzioni.

2) La presenza del cane. Il motivo è lo stesso del punto 1. Perché aggiungere un altro elemento di “distrazione”, se l'obiettivo è parlare dei bambini? Anche in questo caso, si aggiunge un problema al problema. E cominciano a venire i dubbi su quale sia la vera missione da compiere, quale l’obiettivo da raggiungere, quale il target di riferimento: a chi sta parlando questo spot? Agli adulti? Ai bambini? Agli animalisti? Ai sostenitori della supremazia dell’essere umano nei confronti degli animali?

3) La “pseudo metafora” che i vertici del Telefono Azzurro hanno tirato goffamente in ballo, dopo le accuse piovute da tutta Italia: il tizio che salva il cane non avrebbe – SECONDO LORO – scelto tra il cane e i bambini, ma avrebbe salvato il cane come metafora del fatto che i bambini ai suoi occhi sono invisibili. Beh, cari miei, le metafore sono tutta un’altra cosa. Questa non è e non può essere una metafora. Andare a scuola, please!

4) L’hashtag “primaibambini”: una roba che fa venire i brividi e che si commenta da sola. Ma che soprattutto distrugge in modo definitivo la scusa della “metafora” tirata in ballo dai vertici del Telefono Azzurro: infatti, con l’hashtag “primaibambini” si sta mettendo chiaramente in evidenza LA SCELTA CONSAPEVOLE che il tizio fa tra il salvataggio del cane e quello dei bambini. Una maldestra contraddizione, quindi, che fa incavolare ancora di più le folle (chi è causa del suo mal…).

5) Nel finale non si capisce quale debba essere il pensiero che il pubblico deve partorire: i due bambini dovrebbero chiamare il Telefono Azzurro per “denunciare” il tizio che ha salvato il cane e non loro? Oppure dovrebbero chiamare i Vigili del Fuoco per farsi salvare la vita? (ammesso che, in quella condizione siano in grado di fare una telefonata a qualcuno!).

6) In tutto lo spot è pressoché impossibile per qualsiasi spettatore identificarsi in uno dei personaggi o nella situazione raccontata. E questo è piuttosto curioso, in uno spot che pretende dichiaratamente di essere scioccante e provocatorio! Se nessuno si identifica in niente, spiegatemi voi, cari geni del Telefono Azzurro o dell’agenzia di comunicazione Havas Milan, come possiamo scioccare o provocare! L’unica provocazione che suscita questo “lavoro” è quella sull’intelligenza dello spettatore! E infatti, a mio parere, questa robaccia ha fatto indignare tutti non tanto e non solo per la scelta (irreale/surreale) tra cane e bambini, quanto perché tratta gli spettatori da idioti.

7) Alla fine dello spot, nei penosi testi che appaiono in video, c’è pure il riferimento a questi tempi “di pandemia”. La domanda parte in automatico: cosa c’entra la pandemia, in rapporto a tutto quello che vediamo nello spot? La risposta è, ovviamente, NIENTE DI NIENTE. Ma, tanto… tutto fa brodo, giusto? L’importante è che se ne parli. Che tristezza!

8) Indisponente è, poi, anche il richiamo agli action movie americani: nella situazione alla “Die Hard”, nella colonna sonora, nel tizio-eroe che, mentre tutti fuggono via dal palazzo in fiamme, decide con “encomiabile coraggio e sprezzo del pericolo” di salire su per le scale per compiere il suo gesto/atto eroico (è del tutto evidente che lo fa solo per lo spettatore e non per se stesso o per chi potrebbe/dovrebbe/vorrebbe salvare). Insomma: è tutto finto, fasullo, farlocco e posticcio. Non c’è un solo grammo di coinvolgimento emotivo. Non c’è il benché minimo briciolo di empatia.

9) Ah, poi… ovviamente i bambini non strillano (così... magari per farsi notare... magari per “risvegliare” il tizio-eroe dalla sua presunta e assolutamente NON credibile cecità che gli fa vedere e salvare solo il cane!).

10) I vertici di Telefono Azzurro hanno dichiarato che l’obiettivo di questo spot era quello di attirare l’attenzione sul problema dei bambini (ancora più bistrattati e ignorati del normale, in questo periodo di pandemia). E hanno deciso di farlo in modo duro e scioccante. Tuttavia, non hanno attirato l’attenzione di nessuno sul problema dei bambini, anche perché produrre uno spot-porcheria non vuol dire scioccare. Per scioccare qualcuno in uno spot di pochi secondi, occorre focalizzarsi su un argomento/questione e lavorare a fondo su quello. Qui si è aggiunto di tutto e, alla fine, il problema dei bambini in rapporto alla mission di Telefono Azzurro è sparito dai radar. Anzi, non c’è mai stato, dal primo all’ultimo fotogramma. In comunicazione NON si lavora così. E la creatività non è aggiungere un incendio in cui un tizio-eroe alla Bruce Willis risale le scale come un salmone, mentre tutti gli altri fuggono via dal palazzo in fiamme. Non è far salvare un cane al tizio-eroe-Bruce-Willis, mentre due bambini sono lì, accanto al cane, e lui nemmeno li vede! Scioccare il pubblico con la creatività si può anche fare. Ma, obiettivamente, questo spot può soltanto fare inorridire non solo lo spettatore medio, ma qualsiasi persona che abbia un’infarinatura (anche minima) di come si scrive una storia.

Insomma...
Soggetto, sceneggiatura e regia: sbagliati, sballati e atroci in senso assoluto (sarebbe bastata una sommaria lettura dello script per capire immediatamente che questo “lavoro” era destinato a diventare un bagno di sangue, un flop totale, un naufragio penoso).
Obiettivi di comunicazione: inesistenti.
Target di riferimento: non pervenuto.
Tono della comunicazione: cannato in pieno.
Conoscenza del cliente (Telefono Azzurro) e della sua mission: zero (ma non solo da parte dell’agenzia di comunicazione; perfino il cliente, infatti, ha dimostrato di non conoscere se stesso; il che farebbe anche ridere, se non ci fosse di mezzo il rispetto per i bambini!).
Deontologia professionale: sotto la suola delle scarpe.

P.S.: non metto il link al video (pubblicato sulle pagine facebook di Telefono Azzurro e dell’agenzia Havas Milan) per il semplice motivo che non voglio contribuire a dargli visibilità su un mio “canale”. Ma potete facilmente trovarlo, almeno finché qualche autorità con un po’ di sale in zucca non lo bloccherà, costringendo i suoi autori a cancellarlo per sempre, per oltraggio all’umana intelligenza. Mi è costata una grande fatica pubblicare anche solo l’immagine che vedete al principio di questo post, in cui si possono leggere le pessime parole che appaiono in video nella parte finale di questo obbrobrio.

P.S. (2): lo spot è stato ritirato stasera stessa (22 novembre 2020). Era davvero l'unica cosa da fare. Amen.