se fossi un'automobile...

... sarei una FIAT 850. Ve la ricordate?

venerdì 31 gennaio 2014

Marcello e Sofia #10

Questa tavola di Marcello e Sofia è la n. 10 della serie, ed è uscita sul bimestrale Tempodì (Gaghi Editrice, Milano) nel numero di dicembre 2008.

Lo spunto è un classico natalizio. Una di quelle situazioni (talvolta poco piacevoli o addirittura imbarazzanti) che moltissime persone hanno provato sulla loro pelle. Non importa con quale "regalo"... infatti, eventualità di questo tipo possono verificarsi con un cesto, una sciarpa, un pigiama o un'infinità di altri "pensieri" di dubbia utilità (o decenza).

Sul numero di Tempodì in uscita a febbraio 2014, Marcello e Sofia saranno presenti con la loro tavola autoconclusiva n. 41.

Marcello e Sofia © Daniele Mocci & Luca Usai

giovedì 30 gennaio 2014

Se c'è una cosa che mi fa incazzare... (5)

Riflessioni in disordine a proposito di topi di fogna, sorci avidi e truffatori.

Non so perché, ma stamattina mi sono svegliato con le palle girate e con il bisogno e la voglia di sfogarmi qui sul blog, dopo quasi sei mesi che non scrivevo una riga.
Anzi, forse lo so.

C'erano una volta i blog...
Prima di cominciare dico subito che scriverò questo pezzo così come viene, per cui non me ne frega niente se diventerà troppo lungo per gli standard di un blog. Ammesso poi che questi standard esistano e siano applicabili anche a un blog privato, in cui uno dovrebbe poter scrivere quello che gli va, quando gli va di farlo.
Il fatto è che ormai da qualche anno, cioè dall’avvento di quelle ineffabili meraviglie della modernità interattiva come Facebook et similia, i blog sono stati relegati a pallosissime vestigia di archeologia "webica". E, quindi, un post appena più lungo di cinque righe, diventa illeggibile per convenzione, troppo lungo per definizione e logorroico di default.
Non importa cosa c’è scritto.
La gente non ha tempo.
La gente non ha voglia.
E tu non la puoi annoiare con le tue menate.

Meglio il ciarpame usa e getta, i post veloci, le frasi fatte e le immagini preconfezionate e standardizzate, che milioni di “utenti formato pecora” prendono e appiccicano qua e là, sui loro profili (e su quelli altrui) di Facebook. L’importante è stare nel “social network”, che, a chiamarlo così, sembrerebbe pure una roba figa… e invece per identificarlo bisognerebbe utilizzare terminologie ben più appropriate, anche se sicuramente meno convenienti.
Meglio illudersi di avere la propria finestra aperta su un mondo su cui si affacciano altri milioni di finestre aperte, e dire cose a “cazzo di cane”, tanto prima o poi qualcuno le prende per belle o addirittura per buone.
Meglio un bel “mi piace”.
Meglio far finta di essere amici di qualcuno che non conosceremo mai.
Meglio avere 5.000 di questi amici e vomitare fuffa a non finire, emanare sentenze e pontificare a vanvera nella propria paginetta.
Meglio far finta di essere fighi in un mondo di finti fighi, tutti sotto l’ala della grande chioccia facebookiana.
Meglio illudersi di essere creatori di aforismi indimenticabili e fare un figurone solo perché si è riusciti a copiare qualcosa di cui gli altri ignoravano l’esistenza.
Ma mi fermo e non mi metto neppure a pensare a quello che c’è sotto… all’utilizzo che viene fatto delle informazioni personali (o meno) che la gente butta sulla propria pagina con la convinzione che sia davvero roba di sua proprietà.

Il punto, infatti, non voleva essere Facebook. Questa era solo l’introduzione.
Ve l’avevo detto che non me ne fregava niente della lunghezza di questo post.

Stamattina...
Stamattina pensavo al mio lavoro.
Pensavo alla mia età.
Mettevo in relazione le due cose.
E i conti non tornano.

Non tornano perché il lavoro che faccio io ha sempre meno valore, in un mercato che non riesce più nemmeno a riconoscerlo. E/o che non vuole riconoscerlo.

Io non esisto.
Io, per lavorare e per mangiare, scrivo.
Scrivo sceneggiature di fumetti. Scrivo libri di narrativa per ragazzi (almeno finora). Scrivo testi per la pubblicità.
Ma per chi fa il mio mestiere è già difficile essere “identificati” dalla legge.
Sì, perché la legge prevede che certi tipi di scrittura, come quella per la pubblicità, siano da considerarsi attività commerciale a tutti gli effetti (fin qui ci posso arrivare senza problemi), con tutto quello che ciò comporta dal punto di vista fiscale. Per cui, vai con Partita IVA e con determinati tipi di imposizione fiscale/tassazione, eccetera.
Ma per altri tipi di scrittura, lo Stato prevede (o dovrebbe prevedere) il diritto d’autore, che segue (o dovrebbe seguire) tutto un altro regime, tutte altre imposte/tasse, tutta un’altra logica.

Poi però, alla fine dell’anno, c’è sempre il problema di far confluire queste entrate di tipo diverso nell’imbuto fiscale che ti calcola quanto devi pagare per avere osato lavorare: e talvolta c’è il rischio di mettere insieme queste due voci differenti (scrittura commerciale e scrittura con diritto d’autore).
Già perché il tuo lavoro vale talmente poco che sei comunque costretto a fare un po’ di tutto (nel mio caso fumetti, narrativa, pubblicità e magari anche svariate altre attività più o meno affini e “contigue”) per sbarcare il lunario. E spesso questo mucchio di roba finisce tutto nel medesimo tritacarne fiscale, con il rischio di pagare due volte (con meccanismi fiscali plurimi e sempre più contorti) le imposte per quello che hai fatto.
Spesso i commercialisti non sanno cosa fare. Non sanno cosa consigliare. Spesso non ci sono norme o regolamenti o disposizioni che aiutano a capire come comportarsi. La tua figura professionale, di fatto, non esiste. È una specie di Frankenstein formato da spizzichi e bocconi di tante figure diverse tra loro. E quindi ti devi arrabattare per cercare di farla rientrare in uno degli standard previsti dalla legge, con il rischio di essere addirittura “fuorilegge”, perché poi potrebbero scoprire che tu fai cose non previste dalla categoria alla quale hai dichiarato di appartenere.
Allora, cari geni del diritto del lavoro e del fisco, vi decidete a permettermi di avere una mia riconoscibilità professionale, fiscale e umana? Se lo faceste, ve ne sarei assai grato.
Il fatto è che non ve ne sbatte un cazzo di farlo.
Questo dà l’idea di quanto lo Stato italiano consideri chi fa questo lavoro.

La truffa dell'anticipo delle tasse.
In più, una volta che hai pagato le tasse svuotandoti completamente le tasche (a novembre 2013 sono andato a ZERO!!!), devi ovviamente pagare la TANGENTE allo Stato se vuoi lavorare (o tentare di farlo) anche nell’anno successivo, per cui… ecco la meravigliosa trovata del PAGAMENTO ANTICIPATO DI TUTTE LE TASSE PRESUNTE PER L’ANNO CHE DEVE ANCORA VENIRE (cioè quello che non hai ancora vissuto, quello in cui non hai ancora lavorato e quello in cui non hai, ovviamente, incassato nemmeno un centesimo, perché fa ancora parte del futuro!).
L’ANTICIPO DELLE TASSE PER L’ANNO SUCCESSIVO È UN LATROCINIO DI STATO, UNA TRUFFA LEGALIZZATA, UNA CAROGNATA COSÌ PALESEMENTE ANTICOSTITUZIONALE CHE NON C’È NEMMENO BISOGNO DI PORTARLA DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE PERCHÉ POSSA ESSERE RICONOSCIUTA TALE.
Ecco, ora venitemi pure a dire che sono un eversivo.
E intanto “quei” grand’uomini continuano a giocare a Risiko sulle nostre teste, facendo finta di cambiare le leggi elettorali, facendo finta di riformare gli enti inutili e facendo finta di razionalizzare le spese che servono a mantenere i loro stipendi principeschi, i loro privilegi nobiliari, le loro pensioni multiple, carpiate e rovesciate con triplo avvitamento all’indietro.
Risultato: io sono in ginocchio, ho 100 (cento) Euro nel mio conto e non so nemmeno come pagarmi la legna per la stufa (che sto accendendo solo dalle 8 alle 11 di sera per non morire di freddo la notte, insieme alla mia famiglia).
E intanto ogni giorno lavoro… non è che sto qui fermo, senza far niente!
Ma non ce la faccio più.
Non ce la faccio a tenere la testa fuori dall’acqua di questa palude maleodorante.
Non ce la faccio perché i lavori che svolgo sono sempre meno pagati.
Non ce la faccio perché molti committenti non pagano o ritardano i pagamenti per così tanto tempo che quando (e se) quei soldi arrivano, sono abbondantemente già spesi e, di fatto, non entrano mai nelle mie tasche.

Il diritto a farsi depredare dei propri diritti.
Non ce la faccio perché poi, nel frattempo, lo Stato (sì, ancora lui) permette a certi sorci figli di puttana vestiti in rassicurante giacca e cravatta, di appropriarsi della paternità di quello che io scrivo (e lo stesso vale per molti professionisti come me). E questa bella pratica toglie (anzi, non riconosce all’origine) i sacrosanti diritti d’autore teoricamente previsti dalla legge.
Questi luridi topi di fogna, che le strategie di marketing hanno fatto diventare addirittura “eroici esempi agli occhi dei bambini”, ti danno pochi spiccioli per impossessarsi di quello che scrivi e per rivenderselo (spacciandosi proditoriamente come autori), ristamparselo tutte le volte che gli conviene e infine tradurlo, esportarlo e venderlo in tutto il mondo.
Ratti avidi e truffaldini.
Anzi… dato che la parola “truffaldino” ha un non so che di “simpatico” nel suono, cambio e dico RATTI AVIDI e TRUFFATORI.
Volgari BANDITI e GRASSATORI che ti strappano i sogni per pochi spiccioli, per poi spacciarli per sogni da loro ideati e stampati in "prodotti da banco per le librerie" ad uso delle incaute masse. Prodotti editoriali che questi sciacalli (che campano a sbafo sulle tue idee) si ostinano con scelleratezza a chiamare impropriamente "libri", per la gioia di grandi e piccini.
E, a quel punto, non si fanno certo nessuno scrupolo a farci i soldi… quelli veri.
Ma il problema, come ho detto, non è solo di questi squallidi roditori da discarica. È anche, e soprattutto, di uno Stato complice e incompetente che glielo permette.
Uno Stato che, al lato pratico, lascia quelli che fanno il mio mestiere in una reale condizione di schiavitù.

La schiavitù è vietata dalla legge, ma evidentemente in Italia è prevista la libertà (per alcuni) di mettere (altri) in schiavitù.

Per questo, stamattina mi sono svegliato con le palle girate.
E forse anche per altro, ma ora mi è passata la voglia di continuare.