se fossi un'automobile...

... sarei una FIAT 850. Ve la ricordate?

venerdì 25 luglio 2008

Tre bambini fantastici e un super... procione!


Qualche tempo fa vi ho presentato Super Pro, un piccolo "supereroe a fumetti" creato da me e Luca Usai diversi anni fa.


Per chi non si ricordasse o non avesse letto il vecchio post in cui ne parlavo, Super Pro è un procione di peluche.
Il suo "vero" nome è Odone. In ogni caso, potete sempre leggere quel vecchio post (storia a fumetti inclusa), cliccando QUI.
Quando i suoi tre padroncini (Bebo, Ale e Tore) hanno bisogno di aiuto, il pupazzo di Odone si trasforma in un procione vivente, dotato di super poteri: Super Pro!








La breve storia che posto oggi, episodio n. 28, è uscita nel novembe 2006 sulla rivista per ragazzi 44 Gatti (Gaghi Editrice, Milano) e ribalta un po' i classici meccanismi narrativi della serie.

Intanto la produzione dei fumetti di Super Pro va avanti, sempre per la rivista 44 Gatti.



Attualmente sto lavorando alla sceneggiatura del quarantesimo episodio.


Super Pro © Daniele Mocci e Luca Usai

lunedì 21 luglio 2008

La parola a Mr. Job (6)



Tradizioni di famiglia


Il figlio più giovane di una famiglia di fattori andò da suo bisnonno che stava per morire.

Il vecchio gli disse: - Figliolo, la fattoria di famiglia era di mio padre. Lui l’aveva ereditata da suo padre. E prima era del padre di suo padre. Io sono stato fattore. Tuo nonno è stato fattore. Tuo padre è fattore, e tu sarai fattore.
Il bambino rispose: - Che fantasia! Ma tutti avete fatto sempre e solo i fattori?
Il vecchio: - Veramente io da giovane mi ribellai e scappai di casa. Per un periodo ho lavorato alle Poste.
Il bambino: - E che lavoro hai fatto alle Poste?
Il vecchio: - Il fattorino!

domenica 20 luglio 2008

Un grazie, un po' di stanchezza e un premio.

Mentre comincio a scrivere, in fondo a questa pagina il contatore delle visite segna 2.234.

Sono passati poco più di tre mesi e mezzo dall'apertura del blog e, francamente, non osavo sperare di meglio.
Considerando che almeno 250 visite sono da attribuire a me (che entro in media due volte al giorno), e che un numero imprecisato è da attribuire a quegli internauti che si ritrovano su queste pagine per sbaglio o per caso, la cifra di voi visitatori VERI è comunque incoraggiante.

Voglio ringraziarvi per tutte le volte che avete scelto venirmi a trovare e per i vostri commenti. Ma voglio ringraziare anche chi mi visita in modo silenzioso, magari leggendo "di nascosto" i parti della mia instabilità mentale.

Siamo in piena estate e la stanchezza comincia a condizionare pesantemente il mio lavoro e le mie attività etxra. Per questo motivo, nelle ultime settimane, la frequenza dei post è diminuita.
Ma è una cosa normalissima, così come è normale che anche la frequenza delle visite stia diminuendo in questi giorni di luglio.
Chi è in ferie ha staccato la spina e chi non è ancora in ferie (come me) sta soltanto pensando al momento in cui potrà finalmente staccarla.

Ma comunque sono in arrivo altri "pseudo" film, altre esternazioni di Mr. Job e altre cose ancora!
Piano piano...

L'immagine qui a fianco si riferisce a un piccolo riconoscimento-catena chiamato Arte y Pico che la mia amica Alessia Buffolo mi ha "tributato" sul suo blog (grazie Ale!).
Alessia è una disegnatrice di fumetti e un'illustratrice molto brava.
Nel suo neonato blog (CLICK QUI) potete vedere alcune sue bellissime opere, mentre in quest'altro spazio web (CLICK QUA) trovate una scheda con le sue attività.

Pubblico qui sotto il regolamento del premio. Dovrei indicare i miei 5 premiati, ma francamente mi trovo in difficoltà.
Farò così: ne indico uno che a me, nella mia ancora breve esperienza in "bloglandia", è piaciuto (e piace) in... "modo particolare", e metto sul secondo gradino del podio, a pari merito, tutti i blog che ho linkato nella colonna di destra di questa pagina alla voce Blog&Blog.

Ecco il mio "premiato"...

- Re Emoacre (autore: ggrillo)

Ed ecco il regolamento del premio...

Arte y Pico premia la creatività, il design e i materiali utilizzati dai blogger.
Regolamento:
1. Scegliere 5 blog che si considerano meritevoli di questo premio, per creatività, design e materiali particolari utilizzati e che diano un contributo alla comunità dei blogger, indipendentemente dalla lingua!
2. Ogni premio assegnato deve aver il nome dell’autore e il collegamento al suo blog, così che tutti lo possano visitare;
3. Ogni premiato deve esibire il premio e mettere il nome e il collegamento al blog di colui che lo ha premiato;
4. Il premiato deve mostrare il collegamento con il blog Arte Y Pico dove nasce l’iniziativa;
5. Pubblicare le regole.

martedì 15 luglio 2008

Al cinema... John e Jack non so! (10)


Ultimo tanga a Parigi
(Italia-Francia, 1979)

a cura di Leone Doro

Il famoso lottatore di sumo Mingras Sai, durante una trasferta a Parigi per un torneo internazionale di tennis, conosce Philippe, uno stilista di alta moda che gli fa notare la sua palese inadeguatezza rispetto ai canoni di bellezza occidentali.

Mingras sulle prime non vuole accettare le parole di Philippe, ma nel suo intimo sa che, se vorrà conquistare il cuore dello stilista, dovrà essere disposto a cambiare. La sua malinconia gli fa inanellare una serie di brutte sconfitte al torneo di tennis, ma fa anche scattare il fuoco della passione in Philippe. Tuttavia, l’impossibilità fisica di consumare il rapporto per via dell’eccesso di massa grassa di Mingras, fa spegnere subito quel fuoco.

Il torneo internazionale di tennis finisce e Mingras, classificatosi ultimo, deve ripartire mestamente per il Giappone.
Philippe non ha il coraggio di presentarsi all’aeroporto per l’addio e lascia una lettera nella camera d’albergo di Mingras.
Ma nella lettera non c’è scritto niente.

Mingras si sente abbandonato anche da Philippe e decide che la sua vita da quel momento cambierà. Abbandona nella sua stanza d’albergo il tanga ancora sudato con cui ha giocato il suo ultimo incontro e si dirige verso l’aeroporto.

Philippe si rende conto di non aver scritto niente nella sua lettera e corre subito in albergo dove però trova solo il tanga sudato di Mingras. Ogni volta che Philippe annusa quel tanga, sente una fitta al cuore e due o tre allo stomaco.

Il ritorno in patria di Mingras è drammatico.
Per prima cosa realizza di aver partecipato a un torneo di tennis mentre lui è un famoso lottatore di sumo. Poi, quando sta per farsi una ragione di tale deprecabile errore, un pauroso terremoto distrugge la sua città e uccide i suoi familiari.
Mingras ha perso tutto quello che gli restava oltre l’onore (che aveva già perso a causa della disfatta al torneo di Parigi). Così comincia a vivere di accattonaggio. Mangia un giorno ogni quattro e cala vistosamente di peso.
La sua vita è cambiata ma, nei momenti di sconforto, l’ex lottatore di sumo sente un filo di nostalgia per il passato.
Le solite cose che capitano nei momenti di sconforto.

Nel giro di tre anni Mingras ha perso 139 chili ed è irriconoscibile. Viene notato da uno stilista emergente di Tokyo che lo prende nella sua scuderia, trasformandolo in poco tempo nel modello più richiesto del Giappone.

Philippe lo vede in televisione e lo riconosce. La sua antica passione si riaccende in un istante e, senza pensarci due volte, fa recapitare a Mingras un biglietto aereo di sola andata per Parigi.
Ricevuto il biglietto Mingras si scioglie in lacrime, raccoglie le sue carabattole e si imbarca sul primo volo per Parigi, dove lo attende un futuro da modello per la maison di moda di Philippe e l’amore che non è mai riuscito a consumare.

Philippe conta i minuti che lo separano da Mingras.

L’aereo su cui viaggia Mingras precipita.

Philippe continua a contare i minuti.
Lo farà per tutta la vita, asciugandosi le lacrime sul tanga che il giapponese aveva lasciato nella sua stanza d’albergo quando partì da Parigi.

Il film che fece urlare allo scandalo tutti, religiosi e laici, occidentali e orientali. Ma soprattutto critici e recensori di cinema, nonché gestori delle sale di proiezione.
Piergnazio Spingitopo ci conduce in un viaggio interiore, posteriore, allucinato e decadente. Neanche nelle battute finali del film, quando l’aereo precipita, si ha l’impressione della caduta.
Come se la storia non fosse mai decollata.
E il dramma assume le proporzioni della tragedia che segue una paurosa disfatta.
Per fare solo un piccolo esempio, il film, solo in Italia, incassò 26.000 Lire nella prima settimana di proiezioni. Nessuno può dire quanto avrebbe incassato nella seconda se, per una perversa logica commerciale, la pellicola non fosse stata inspiegabilmente ritirata.

giovedì 10 luglio 2008

Al cinema... John e Jack non so! (9)





Lo chiamavano
Per Carità...
(Italia, 1976)

a cura di Aguirre De Lope


Dopo l’abbuffata folgorante degli Spaghetti Western…
dopo l’indigestione utopistica dei Tortilla Western…
dopo l’insostenibile leggerezza (non necessariamente profumata) dei Fagioli Western…
ecco il primo e ultimo (perciò unico) Sorbetto Western dell’intero filone.
I fratelli registi Bo e Luke Duke, al secolo (scorso) Bonario e Lucrezio Duchetti, provano a rinvigorire un genere ormai inaridito e, allo stesso tempo, satollo di titoli e situazioni talmente diverse da sembrare tutte uguali.


Un uomo senza nome (Spencer Hill) arriva a Las Playas, un derelitto villaggio di frontiera.
La frontiera è ormai giunta alla fine, lasciando “da conquistare” soltanto una esigua lingua di spiaggia californiana bagnata dall’Oceano Pacifico. In questa lingua di spiaggia l’unico centro abitato è appunto Las Playas.

L’uomo, fermatosi in riva all’oceano con lo sguardo perso all’orizzonte, in cerca di vecchi e dolorosi ricordi, viene investito da un’onda anomala che lo spinge per diverse miglia verso l’interno della California, in piena civiltà.
Piombato in uno stato confusionale, l’uomo non riesce più a trovare la via per Las Playas e comincia la sua parabola discendente fatta di alcool, ignobili spettacoli di spogliarello e accattonaggio.

Nessuno si ricorda più il suo nome (ammesso che qualcuno lo abbia mai saputo…), neppure lui!
Nessuno gli parla.
Nessuno lo vede.
Nessuno lo sente.
Nessuno ha mai voglia di fare niente, che diamine!

Passa circa un anno.

Esaurite le speranze, l’uomo decide di farla finita.
Va in un’armeria ad acquistare, con gli ultimi centesimi che ancora tintinnano nella sua unica tasca, la pallottola con cui ha deciso di farsi saltare le cervella. Purtroppo, però, il progresso galoppa troppo velocemente: i suoi soldi sono ormai fuori corso. E, anche se fossero ancora buoni, le pallottole per caricare la sua vecchia pistola non sono più in produzione, quindi risultano introvabili.

Nell’armeria l’uomo viene notato da un certo Mr. Forbes (Lee McQueen), un ricco possidente del luogo, collezionista compulsivo di vecchie armi da fuoco.
Forbes offre all’uomo senza nome 500.000 dollari per avere la sua pistola. L’uomo accetta.
Con quei soldi potrà pagare qualcuno che lo aiuti a ritrovare la via per Las Playas e ritirarsi con onore in una casetta nella stretta lingua di spiaggia californiana, ultimo baluardo del vecchio West.

Tornato sulla “selvaggia” spiaggia della California, ritrova Las Playas popolata da vecchi pellerossa alcolizzati, patetici cow boys attempati che fanno la corte a squallide e rugose baldracche da saloon con le borse sotto gli occhi (e chissà in quante e quali altre parti del corpo).
L’uomo senza nome si reca dall’unico benestante del villaggio, un certo Mr. Sebrof (Bertrando Trancho), arricchitosi grazie al commercio di carne di serpente a sonagli, uno dei rarissimi animali capaci di vivere in quella lingua di spiaggia massacrata dal sole.
L’uomo senza nome vuole acquistare da Sebrof una parte di spiaggia per costruire la sua casa e vivere tranquillo gli ultimi anni che gli restano. I due concludono l’affare per 45.000 dollari ma, alla vista del denaro con cui l’uomo senza nome intende pagare, Sebrof estrae la sua vecchia Colt e comincia a far fuoco. L’uomo senza nome riesce a fuggire e a salvarsi la vita, ma perde un occhio e un ginocchio.

A questo punto, con almeno cinque cancrene sparse per il corpo, l’uomo senza nome torna nell’interno della California. Raggiunge la casa di Mr. Forbes e vi si introduce come un ladro, nottetempo. Sempre come un ladro, si riprende la sua vecchia pistola. Poi cerca e trova alcune pallottole compatibili (anch’esse “pezzi” della collezione di Mr. Forbes). Infine, ancora una volta come un ladro, esce di casa cercando di non farsi scoprire. E, nonostante tutto, ci riesce.
Torna a Las Playas. Raggiunge la casa di Sebrof e con un rantolo asmatico lo chiama, sfidandolo a duello.

Sebrof esce di casa allacciandosi i pantaloni con una certa difficoltà (infatti, non essendosi ancora svegliato del tutto, li ha indossati al contrario).
I due si ritrovano sulla spiaggia. L’uno di fronte all’altro.
Ma è una notte senza luna e nessuno dei due riesce a vedere dove si trova il suo nemico.
Sebrof spara alla cieca e tra i vari colpi sprecati, riesce a piazzarne uno nell’occhio buono dell’uomo senza nome.

L’uomo senza nome capisce (finalmente!) che per lui “non è aria”. Butta a terra la sua vecchia pistola e, rantolando, chiede a Sebrof di spiegargli almeno perché gli abbia sparato al momento della compravendita del pezzo di spiaggia.
Sebrof, che è un uomo all’antica (e infatti vive nell’ultimo villaggio del vecchio West), gli risponde che quel denaro era falso.
L’uomo senza nome gli spiega che, in realtà, quelle erano le nuove banconote che da qualche tempo avevano sostituito le vecchie in tutta l’America. Purtroppo in quella lingua di California dimenticata da Dio non erano ancora arrivate…

Sebrof chiede scusa e torna a dormire.

Mentre le prime luci dell’alba illuminano il cielo con una luce livida, l’uomo senza nome si allontana alla cieca verso le vecchie case di Las Playas.
Qualcuno fischia, come se stesse chiamando una capra.
L’uomo si blocca.
Una vecchia baldracca lo raggiunge e gli infila in tasca pochi centesimi del vecchio conio.
Con quelli potrà acquistare qualcosa da mangiare nel saloon di Las Playas.

Presentato come il film che avrebbe rivoluzionato per l’ennesima volta il genere Western made in Italy, Lo chiamavano Per Carità… mette la parola “fine” alle ormai tiepide velleità di risveglio di un filone esaurito ormai da tempo.
Tuttavia la pellicola è divenuta famosa per almeno due motivi.
Il primo è che, caso praticamente unico nella cinematografia mondiale, da oltre trent’anni il film strappa sonore risate a chi lo guarda convinto che assisterà a una vicenda drammatica e, viceversa, incupisce paurosamente chi si aspetta una storia comica e brillante.

Il secondo motivo, in tutta franchezza, non si è mai saputo.

giovedì 3 luglio 2008

Marcello e Sofia


All’inizio del 2007, la casa editrice Gaghi (Milano) chiese a me e a Luca Usai di studiare una nuova serie di tavole a fumetti “autoconclusive” per la rivista Tempodì, dedicata a un target in prevalenza di pensionati.

Nacquero così Marcello e Sofia.

Lui ha circa 65 anni, lei circa 60.
Sono sposati da più di trent’anni. Hanno due figli over 30 che da qualche anno non abitano più con loro. Si dedicano a mille attività domestiche ed extra. Abitano in un centro urbano medio piccolo.
La loro casa ha un ampio giardino. Tra i loro possedimenti c’è qualche ettaro di terra in campagna che Marcello ama lavorare, soprattutto adesso che è in pensione.

La serie racconta le vicende familiari di questi due sposi tornati sposini. Le nuove abitudini del “post pensione”.
I piccoli acciacchi e i piccoli tic di un’età non più verde.
Le manie, i fastidi, gli scontri per i classici futili motivi, e i moti d’affetto e d’amore di due persone che non hanno mai smesso e mai smetteranno di amarsi.

Sul numero di agosto 2008 di Tempodì sarà pubblicata la tavola n. 8 della serie.

Vi copio, qui sotto, la sceneggiatura di un episodio “pilota” che non è stato approvato dalla casa editrice. Luca, intanto, ha già pubblicato nel suo blog le tavole 1, 2 e 3 (QUI) + 4, 5 e 6 (QUA).
In seguito le riproporrò anch’io su questo blog.

MARCELLO e SOFIA:
“Una mattina come tante”
Breve descrizione della scena.
Camera da letto di Marcello e Sofia. Le sei e quaranta di mattina. Marcello si alza mentre Sofia ancora dorme...(NB: ogni numero corrisponde a una diversa vignetta)

1) Marcello, in pigiama, si sta alzando dal letto.MARCELLO (pensiero):
Accidenti! Sono già le sei e quaranta… farò tardi!

2) Marcello, in bagno, di fronte allo specchio, si fa la barba con il rasoio elettrico.RUMORE:
ZZZ-RRR-ZZZ

3) Di nuovo in camera da letto. Ora Marcello è quasi pronto per uscire. Sofia si sveglia, tira fuori la testa dalle coperte e guarda in direzione di Marcello con aria assonnata.SOFIA:
Si può sapere dove devi andare, così presto?
MARCELLO:
Al lavoro, Sofia!

4) Sofia ha un sorrisetto ironico sulle labbra.MARCELLO (da fuori campo):
Se non mi sbrigo, rischio di perdere il treno…
SOFIA:
Ma che dici, Marcello?!… Tu sei in pensione!
5) Marcello, vestito di tutto punto e 24 ore in mano. È incredulo, costernato e anche un po’ preoccupato. Sofia, è di nuovo sotto le coperte.MARCELLO:
Ehm… e quando è successo?
SOFIA:
Circa un anno fa, caro…

FINE
Marcello e Sofia, testi e disegni © Daniele Mocci & Luca Usai