L'ignoranza della cultura
Gli anni passano e i
figli crescono… diceva una vecchia canzone sulle mamme che la mia (mamma)
mi faceva ascoltare da piccolo, dal 45 giri originale.
Crescono i figli anche
di chi non ha mai avuto figli… mi verrebbe da aggiungere oggi, alla luce di
com’è cambiato il mondo. Ma queste sono solo speculazioni filosofiche destinate
a non essere capite da nessuno. Come certe supercazzole partorite dalla penna (o
dalla tastiera) di coloro che scrivono in maniera pseudo colta, simil artistica
o para ermetica. Una maniera odiosa e sterile, oltre che stupida e indisponente,
che fa tanto figo ma che non ha assolutamente niente da dire e niente da dare.
E poi, diciamocelo, nessuno ci capisce una mazza, a cominciare dai super esperti
di estetica della parola scritta che ne decantano le presunte fantasmagorie
letterarie.
Scusate, ho un conato di vomito.
Fatto.
L’ultima volta che ho scritto su questo blog dicevo che presto
avrei potuto ricominciare a pubblicare le mie esternazioni sulla carta stampata.
Non è stato così per il semplice motivo che oggi chi lavora
nell’ambito della cultura, delle arti, delle lettere e, in senso più lato, della
creatività (quella vera, non quella di cui un sacco di buffoni si riempiono la
bocca per darsi un tono), non è considerato un lavoratore a tutti gli effetti.
Semmai è considerato un simpatico bug del sistema che,
mentre tutti gli altri lavorano, ha scelto (bontà sua) di fare una “vita da
creativo”, in giro a presentare i suoi libri o i suoi disegni o i suoi nonsisabenecosa.
E quindi, dato che costui non è un lavoratore vero, perché bisognerebbe
pagarlo? Perché gli si dovrebbe riconoscere un rimborso carburante? E, a dirla
tutta, per quale (incomprensibile) ragione codesto individuo dovrebbe anche soltanto
pretendere di mangiare, per pranzo, un panino al prosciutto cotto (acquistato
al bar dell’angolo) a spese dell’ente o del privato che lo ha gentilmente
ospitato al caldo per far sì che egli (o ella) potesse sbrodolare un’ora e
mezza di parole su un auditorio di bambini o adolescenti o adulti a proposito
delle sue menate creative?
Perché, di grazia?
Ops... un altro conato.
Eccomi.
Ci sono in giro editori, dirigenti scolastici, direttori di
biblioteche comunali e/o private, gestori di librerie, caporedattori molto
sensibili a questo discorso. Molti di loro sanno che SENZA QUEI CREATIVI MANGIA-PANE-A-TRADIMENTO
non potrebbero essi stessi lavorare e, di conseguenza, guadagnare il loro stipendio.
L’equazione è facile da capire:
(1) senza l’editore, lo scrittore farebbe la fame.
Ma l’equazione, per essere corretta, deve valere anche al
contrario.
Quindi:
(2) senza lo scrittore, l’editore farebbe la fame.
Lo scrittore lo sa, invece l’editore spesso fa finta di
dimenticarsene. Insomma, minimizza.
In fondo il libro è uscito no? Non ti basta per nutrire il
tuo ego?
No, non mi basta.
Non CI basta.
Non CI nutre.
Perché poi le nostre mogli, i nostri mariti e i nostri figli
ci chiedono conto del motivo per il quale noi siamo SEMPRE impegnati nel nostro
lavoro, ma non abbiamo MAI i soldi per pagare l’affitto, il gas, un paio di
jeans nuovi (dai cinesi, eh… mica in via Montenapoleone). E non abbiamo neppure
MAI il tempo per fare due passi con loro in campagna o per le strade del paese
o della città in cui viviamo.
Ma quella equazione non vale solo per certi editori. Vale
anche per certi dirigenti scolastici. Vale anche per certi bibliotecari. Vale
anche per certi librai. Vale anche per certi caporedattori. Insomma, tutta
gente che lavora e alla quale lo scrittore-accattone di turno, cerca sempre di
spillare proditoriamente un soldino.
Che morto di fame.
Che truffatore.
Che ignobile individuo.
Non ci sono più gli scrittori di una volta.
Quelli che scrivevano SOLO per il gusto e il bisogno di
scrivere.
Quelli che lo facevano SEMPRE a prescindere dal soldo.
Quelli che lo facevano UNICAMENTE per l’arte o, meglio
ancora, per dare messaggi grandiosi all’intero genere umano.
Che cosa c’entrano i soldi con tutto questo?
Niente, assolutamente niente.
E invece no.
C’entrano moltissimo.
Altro piccolo conato.
Chiedo venia.
I soldi, dicevo, c’entrano moltissimo perché anche lo
scrittore (così come tutti gli altri professionisti che svolgono un lavoro nell’ambito
della creatività) deve essere retribuito in maniera proporzionale al proprio
impegno. Al proprio lavoro. Ai risultati ottenuti. Ai meriti reali.
Esattamente come un editore, un dirigente scolastico, un bibliotecario
o un libraio.
Perché?
Perché se un editore, un dirigente scolastico, un
bibliotecario o un libraio guadagnano dei soldi grazie all’opera di uno
scrittore che, di contro, non percepisce un euro, allora è come fare
sfruttamento della prostituzione. Lo scrittore perde completamente la sua indipendenza
e diventa una prostituta di bassissimo profilo. Tutti gli altri, invece, sono i
papponi. O magnaccia. O chiamateli come cavolo vi pare.
L’ignoranza della cultura è cosa grave.
È una malattia contagiosa e purulenta.
Ma non è un fenomeno casuale.
È una strategia con la quale alcuni (pseudo) professionisti
pretendono di inculare altri (veri) professionisti per i loro tornaconti personali.
E pretendono di farlo non solo col sorriso sulle proprie labbra,
ma anche su quelle dell’inculato.
Il tutto nell’indifferenza di una classe politico-amministrativa
che, se va bene, è inesistente e assenteista. Nella maggior parte dei casi è,
invece, connivente con questo sistema di magnaccia della cultura.
Una vergogna che bisognerebbe estirpare dai cuori e dai
cervelli della gente con le tenaglie.
Come se si trattasse delle loro unghie.
Istigazione alla tortura, dite?
E perché no?
In risposta a un sistema basato sulla schiavitù,
ogni argomento è lecito.
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