Riflessioni domenicali su una situazione che mi piace sempre meno, quella del mondo in cui vivo. Quella che vedo intorno a me. Quella delle persone e dei personaggi che in questo mondo agiscono, fanno e subiscono cose.
Naturalmente scrivo quello che mi salta in mente e me ne frega sempre meno di fare i conti con la lunghezza dei post.
Bugie, bugie e ancora bugie.
Viviamo in mezzo alle bugie.
Dentro le bugie. Comunichiamo e ci relazioniamo nelle bugie. Ogni giorno
consumiamo e produciamo una quantità incalcolabile di bugie.
Siamo pieni di bugie.
Cose non vere.
Cose vuote, senza sostanza, senza
valore, senza coraggio, senza idee, senza dignità.
Cose preconfezionate.
Cose pensate da qualcuno che ce
le deve vendere o che ce le regala per ottenere qualcosa in cambio da noi…
voti, sesso, lavoro, accessi in un sito web…
E anche quando le “facciamo in
casa”, ci preoccupiamo che le nostre bugie somiglino sempre più a quelle
preconfezionate che ormai sono le uniche che riusciamo ad accettare e a riconoscere.
Bugie standard.
Bugie targhetizzate per fascia
d’età, genere, condizione sociale, in modo che tutti si illudano di essere
stati loro a sceglierle in base ai loro gusti.
Cose meramente estetiche, “di
facciata”, che servono solo ad allontanarci dal senso del mondo, dal senso
della vita, dal senso delle cose e dal senso di noi stessi.
Imbrogli. Truffe. Falsificazioni.
Mistificazioni.
Ce le raccontiamo con
convinzione. Ce le scambiamo come le figurine mancanti di un album dei
calciatori. Andiamo in crisi di astinenza se, dopo alcuni minuti, non ne
assumiamo di nuove e non le condividiamo con altri, magari sul profilo
facebook.
Respiriamo un’aria satura di
immagini distorte. E non sono nemmeno immagini della realtà, ma di altre
immagini distorte.
Ma questo è diventato il nostro
pane quotidiano e, ormai, non siamo più nemmeno sicuri che siano davvero bugie.
Siamo talmente assuefatti a questo sistema di cose, che ci siamo convinti che
il mondo e le persone siano davvero come li vediamo adesso, come ce li
raccontano alla TV o come ci appaiono dai/nei social network.
I finti guerrieri di eserciti inesistenti e i loro capi.
Siamo lontani dal mondo e da noi
stessi come MAI l’umanità è stata prima d’ora.
Ci affidiamo a un’idea, a un
credo, a una fazione, senza nemmeno prendere informazioni su chi ha “costruito”
la causa che noi abbiamo deciso di sposare, su chi ha deciso la guerra che noi
stiamo andando a combattere, su chi ha preparato la pozione che ci accingiamo a
bere. Non solo. Non sappiamo e non vogliamo sapere nemmeno il perché.
Ci basta questo assurdo e
devastante senso di appartenenza a qualcuno o a qualcosa in modo cieco, sordo e
acritico. Solo per indossare una casacca. Solo per sentirsi parte di qualcosa.
Solo per avere una partita da giocare. Solo per avere la sicurezza che dall’altra
parte della barricata ci sia un nemico da combattere. Salvo poi scoprire, quando
però è troppo tardi, che la barricata in realtà è solo uno specchio e che dall’altra
parte c’è solo la nostra immagine riflessa.
“Matrix” è dentro e fuori di noi.
Siamo cadaveri viventi. Bozzoli in stato di coma controllato da buffoni di 70,
80 e 90 anni ricchi sfondati che ci hanno comandato (e non governato) per oltre
vent’anni, facendo regredire a livelli inverosimili le nostre capacità
critiche, la nostra sete di conoscenza, il nostro consumo e la nostra
produzione di cultura, il nostro bisogno biologico di identità. Mascalzoni,
ladri, truffatori, delinquenti, mafiosi, faccendieri, magnaccia e puttanieri
che hanno cucito un mondo finto, fasullo, bugiardo tutto intorno a noi. Ce lo
hanno cucito di fronte ai nostri occhi, giorno per giorno, in oltre vent’anni.
E noi li abbiamo lasciati fare, perdendo definitivamente la nostra identità, la
nostra capacità di scegliere e di spazzarli via, schiacciandoli come ragni
velenosi. Cioè come quelli che erano e che sono.
Ma ormai è tardi. Troppo tardi.
La loro tela (e le loro “Tele”, pubbliche o private fa lo stesso) ci hanno stretto in una morsa da cui è impossibile liberarci.
La loro tela (e le loro “Tele”, pubbliche o private fa lo stesso) ci hanno stretto in una morsa da cui è impossibile liberarci.
Ci hanno ridotti a larve
dipendenti da loro e dalle loro falsità.
Ci succhiano il sangue per continuare
a trarre la loro forza e, contemporaneamente, continuare a mantenerci deboli. E
intanto continuano a derubarci sotto i nostri stessi occhi. A riempirci la
testa di fandonie. A imboccarci col cucchiaino massicce dosi di distorsione
della realtà.
Nessuna cultura, nessuna memoria, nessun futuro.
Siamo automi privi di umanità.
Ragioniamo e ci esprimiamo in
termini di “numero massimo di battute”, come se fossimo perennemente su un
social network, anche quando discorriamo tra noi durante una pausa caffè. Non
siamo più capaci di orientarci in una discussione articolata. Crediamo di non
avere tempo per noi stessi, per pensare, riflettere, approfondire, conoscere,
discutere, dibattere, studiare, ricercare. Ma abbiamo tempo da buttare per
spettegolare, curiosare a vuoto sulle cose più effimere e inutili delle vite
degli altri, intrattenere rapporti virtuali con gente che non conosciamo e non
conosceremo mai.
Semplifichiamo sempre più il
nostro linguaggio. Eliminiamo parole dal vocabolario. Diamo significati di
comodo alle parole che ci rimangono. Non leggiamo più, a parte le infinite
volgarità che troviamo nella rete. E dalla rete prendiamo solo il peggio.
Non conosciamo il nostro passato.
Non vogliamo più avere un passato. In moltissimi già non ce l’hanno più. Chi di
noi ce lo aveva, lo ha rimosso o fa di tutto per rimuoverlo e rinnegarlo.
Fuggiamo dalle nostre radici come dalla peste. E costruiamo senza fondamenta le
case per i nostri figli e per le generazioni future. Anzi, i porci al potere ci
hanno insegnato a soddisfare ogni nostro appetito con tutto ciò che dovrebbe costituire
il nutrimento, la base e le fondamenta delle generazioni future. E stiamo
consumando tutto questo prezioso cibo, rovinando irrimediabilmente la vita a
chi verrà subito dopo di noi. Questa forma di cannibalismo preventivo sui
nascituri (che poi altri non sarebbero se non i nostri figli, il sangue del
nostro sangue, se ancora il sangue ce lo avessimo) è la fine del mondo. La fine
dell’uomo.
Le nostre colpe e le colpe di coloro a cui ci affidiamo.
E siamo tutti colpevoli. Colpevoli
di aver fatto o di non aver fatto. Di aver lasciato fare. Di aver voltato la
faccia. O di aver fatto finta di niente.
Colpevoli di non aver detto la
nostra. Di non avercela neppure avuta una “nostra da dire”. Di aver scelto o di
non aver scelto, senza capire chi, cosa e perché.
Colpevoli di non mandare al
diavolo chi ci ha portati fino a questo punto.
E, non lo dico certo per
qualunquismo, tutti hanno lavorato per condurci fin qui.
Le “Destre” ingorde e truffatrici;
devastatrici di ambiente, cultura e valori umani; creatrici di illusioni vuote
e di trappole morali; allergiche al rispetto dell’uomo, della donna, del lavoro
e della dignità; idolatri della comunicazione distorta come forma di
accalappiamento delle masse.
I “Centri” amorfi e cerebrolesi;
vetusti e mummificati; privi di idee e di carattere; facili alle collusioni e
alle complicità; banderuole senza palle e senza bussola; dispensatori di nulla e
di modelli aprioristici spesso inutili, quando non mortalmente dannosi.
Le “Sinistre” morte e devastate
da cancrene interne in lotta tra loro per divorare quei pezzetti di speranza (ormai
vana) che ancora resta; inclini anch’esse alle collusioni, alle tangenze
sporche e losche e alle ruberie di bassa lega; incapaci di riconoscere e di difendere
l’umanità del cittadino.
I “Grilli” che cantano sul web,
predicando talvolta anche bene, ma razzolando a vanvera senza arte né parte; casinisti
confusionari e arruffoni; creatori di illusioni virtuali e virtualistiche che nascondono agli occhi del popolo (anche quando
non vogliono) ogni eventuale via d’uscita.
Tutti incapaci di partorire un
vero leader.
Una figura, quella del leader,
che non si è MAI vista in questi ultimi venticinque anni. Li chiamano e li hanno
chiamati leader, ma al massimo sono e sono stati capi (capibanda, capipopolo),
manager, generali, colonnelli, squali, sciacalli, prevaricatori, corruttori,
mafiosi, fantocci creati da un ufficio marketing bene organizzato.
I leader sono ben altra cosa. Sono di ben altra pasta. Sono lontani anni luce da queste pessime figure caricaturali e deprimenti che ricordano solo vagamente, nei loro aspetti decadenti e falsificati, quello che poteva essere (una volta) un essere umano che godeva della fiducia e della stima dei suoi simili.
I leader sono ben altra cosa. Sono di ben altra pasta. Sono lontani anni luce da queste pessime figure caricaturali e deprimenti che ricordano solo vagamente, nei loro aspetti decadenti e falsificati, quello che poteva essere (una volta) un essere umano che godeva della fiducia e della stima dei suoi simili.
Immagini distorte di una realtà che
non c’è più e che, per chi oggi è ancora molto giovane o per chi nascerà
domani, non ci potrà mai essere.
La responsabilità di decidere un futuro.
Dov’è e dove sarà il futuro?
Per conto mio, ogni giorno mi
convinco sempre più che il futuro non è nel web.
Il web è solo uno strumento. Non è
la realtà. Non è la vita. È un dannatissimo strumento nelle mani di chi lo usa.
E non possiamo permettere che sia lui a usare noi, come invece lasciamo che succeda
con i nostri bambini e i nostri ragazzi. Che razza di uomini stiamo diventando?
Dove diamine è finito il nostro senso della responsabilità?
Il futuro dell’uomo, che lo si
voglia riconoscere o meno, è (e sarà) sempre nell’uomo.
Ed è da lì che bisognerebbe
ricominciare per smantellare tutte le strutture fasulle che ci sono state
costruite intorno in questi ultimi venticinque anni.
È da lì che bisogna cominciare
per fare piazza pulita di questi maiali che ci hanno comandato (e non governato),
imponendoci di stare male e di vivere in una condizione di crisi continua e
degenerativa.
Perché, fino a prova contraria,
nessuno di loro è riuscito ad avere un’idea o a compiere un atto concreto che
abbia davvero migliorato qualcosa a qualcuno. Anche di poco.
E non parlo di migliorare le
condizioni pensionistiche dei pluri pensionati d’oro. E nemmeno di migliorare le
possibilità di farla franca per chi esporta illegalmente capitali all’estero.
E sì che basterebbe rimboccarsi
le maniche e riprendere contatto pian pianino con la propria consapevolezza. Un
lavoro lungo, ma diluibile nel tempo, come una cura da fare a piccole dosi ogni
giorno. Una cura che spazzi via per sempre tutte le bugie, le falsificazioni e
le distorsioni che ci circondano, e che ci restituisca il nostro mondo, la
nostra vita e il nostro futuro.
Una cura che ci porti, appunto, a
riappropriarci ciascuno della consapevolezza di sé.
Nessun commento:
Posta un commento