se fossi un'automobile...

... sarei una FIAT 850. Ve la ricordate?

mercoledì 27 gennaio 2021

Daniele Mocci & Luca Usai story (3): LE SGRAMMATICATE VICENDE DI CAIUS

La ragione per cui due settimane fa ho inaugurato questa rubrica sui lavori pubblicati da me e da Luca Usai, mi obbliga oggi a serrare i tempi e ad andare avanti con le puntate con una frequenza rapida.

I più curiosi si domanderanno quale sia quella ragione. Beh... come in tutti i racconti dove c'è un pochino di suspence, la scoprirete solo alla fine!
Non vi resta che continuare a seguirmi in questo percorso.

I primi due volumi di Latino&Oltre
(di Domitilla Calia, Esselibri, Napoli, 2002)
 

Nella seconda puntata (pubblicata in questo blog in data 20 gennaio 2021), ho spiegato come - ancora prima di cominciare i lavori della strip umoristica CI VEDIAMO IN FACOLTÀ - io e Luca fossimo già impegnati con stessa casa editrice (Esselibri, ovvero Edizioni Simone, Napoli) sulla creazione di un'altra striscia a fumetti. Una serie pensata come "complemento" ai tre volumi del libro Latino&Oltre, scritto dalla professoressa cagliaritana Domitilla Calia e destinato al biennio della scuola superiore italiana.

Il terzo volume del libro (dizionario grammaticale)

Incontrammo l'autrice nella sua casa di Cagliari e scoprimmo una donna dall'intelligenza acutissima, molto preparata nella sua materia e con le idee assolutamente chiare su ciò che si aspettava da noi. Questo ci rese molto più facile il lavoro, insieme al fatto che la professoressa Calia si dimostrò anche una persona di spirito. A differenza di molti altri che avrei conosciuto in seguito, non si faceva nessun problema sul fatto che la carica umoristica delle nostre strisce potesse in qualche modo inficiare il suo lavoro "serio" sul testo didattico. Anzi, spesso ci spingeva anche a osare di più. Fu, insomma, un incontro straordinario. Un incontro per cui io e Luca ringraziammo lo sceneggiatore Bepi Vigna: fu lui a segnalarci che la professoressa Calia stava cercando dei fumettisti per fare questo lavoro.

Caius e Cornelia alle prese con le congiunzioni coordinanti

Il personaggio di Caius nacque così. E alla la serie che lo vedeva protagonista io e Luca affibbiammo il nome de LE SGRAMMATICATE VICENDE DI CAIUS. Ma, nonostante il riferimento alla grammatica, la strip non si occupò solo di scherzare su questioni grammaticali.

Per + accusativo
Caius (in panciolle di fronte a un improbabile televisore)
fa adirare sua madre

Nei tre volumi del testo, infatti, c'erano diverse parti dedicate anche alla civiltà latina e alla sua cultura in senso lato.

Caius chiede lumi al Maestro sulla questione di Romolo e Remo

Caius è un adolescente dell'antica Roma, le cui vicissitudini scolastiche, affettive e familiari forniscono numerosi spunti per scherzare sulle regole della grammatica latina, ma anche sulla storia, gli usi e i costumi dei romani.

Verbi impersonali puri

È un tipo tranquillo, che a volte si perde nei suoi sogni a causa della sua propensione a ritrovarsi, almeno ogni tanto, con la testa fra le nuvole.

Complemento di argomento

Accanto a lui, tra i tanti personaggi "di passaggio", troviamo due figure ricorrenti. La prima è quella di Cornelia, una sua coetanea. Caius ne è innamorato ma, almeno almeno apparentemente, sembra proprio non avere speranze. Cornelia è molto più sveglia di Caius, e la sua linguaccia lo costringe spesso a incassare vere e proprie mazzate di cinismo, che talvolta sfiorano la cattiveria.

Calendario romano

La seconda figura cardine nella vita di Caius è quella del Maestro, un uomo tanto burbero, severo e inflessibile, quanto più Caius si dimostra distratto, "molle" e svogliato.

Congiunzioni subordinanti

Ogni tanto, poi, tra le 42 strisce di cui si compone l'intera serie, ci ritroviamo di fronte alla mamma del protagonista e a diverse figure storiche della romanità come, solo per fare un esempio, l'immancabile Giulio Cesare (chiaramente ispirato a quello di Asterix, celeberrimo personaggio di René Goscinny e Albert Uderzo).

Giulio Cesare cattura Vercingetorige

LE SGRAMMATICATE VICENDE DI CAIUS furono un'esperienza cruciale nel percorso lavorativo mio e di Luca. Segnarono di fatto il nostro ingresso nell'editoria nazionale e ci permisero di "finire" addirittura sui banchi di scuola di moltissimi studenti italiani!

Sacrifici agli dei

Complemento di materia

I tre volumi di Latino&Oltre firmati dalla professoressa Calia, furono pubblicati nel mese di febbraio del 2002, un anno determinante per me e Luca. Perché, subito dopo Caius, pubblicammo almeno altri due lavori destinati a segnare la nostra strada per molti anni a venire.

La Sibilla Cumana


Il Lapis Manalis
(pietra sacra che serviva a far piovere)

Parlerò di quei lavori nelle prossime puntate!

Intanto, se non lo avete ancora fatto, vi invito a leggere le puntate precedenti ai link qui sotto:
Puntata (1): FRANZISKA - aspirante giornalista
Puntata (2): CI VEDIAMO IN FACOLTÀ

LE SGRAMMATICATE VICENDE DI CAIUS è un'opera © Daniele Mocci & Luca Usai.

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Le immagini e i testi pubblicati in questo post SONO DI ESCLUSIVA PROPRIETÀ DEGLI AUTORI e possono essere condivisi SOLO A SCOPO DIVULGATIVO e SENZA FINI DI LUCRO su web e carta stampata, CITANDO SEMPRE NOME E COGNOME DEGLI AUTORI STESSI.

sabato 23 gennaio 2021

L'imbecillità al potere (e il potere dell'imbecillità)

È faticoso vedere e sentire tutto questo.

Gente che ha comprato deputati e senatori fino a ieri sera (pagandoli con soldi, incarichi di potere e "materia concreta"), stamattina accusa altri di quella stessa compravendita. Imbecilli che occupano ruoli nella politica solo per dare sfogo a bisogni intestinali di protagonismo a tutti i costi. Individui dal cervello atrofizzato, che sarebbero inadeguati anche se li mandassi a comprare un cartone di latte, si ritrovano alla guida di pseudo partiti che stanno sia in maggioranza che all'opposizione.

Spesso non è né bello né giusto fare di tutta l'erba un fascio, ma allo stato attuale è impossibile capire qualcosa di questo circo di pagliacci (deficienti veri e propri o, al massimo, psicolabili).
È impossibile trovare le differenze tra chi dice di stare da una parte e chi dice di stare dall'altra. È impossibile capire i motivi per i quali questi esseri surreali parlano, affermano qualcosa e poi il contrario di quel qualcosa non appena i rapporti di forza si invertono.
E i rapporti di forza si invertono senza che nessuno di noi ci capisca una mazza dei motivi: visti da fuori sembrano sempre dispetti da asilo infantile o questioni di vendette personali, simpatie/antipatie, leccate di culi ad amici potenti che hanno piazzato questi cretini in parlamento per poi manovrarli come burattini.

Fateci caso: quando governava l'osceno puttaniere milanese, i suoi amichetti (di convenienza) lo giustificavano per ogni porcata che faceva o diceva. Gli oppositori, comprese le pseudo sinistre (quelle vere sono assenti ormai da anni dalla scena politica italiana), facevano finta di indignarsi e assumevano atteggiamenti da persone serie, ferite nell'orgoglio e pronte a prendere in mano le redini del Paese per restituirgli credibilità e dignità. Esattamente quello che succede oggi a parti specularmente invertite.

A chi bisogna dare fiducia? A una maggioranza derelitta e palesemente inadeguata o a delle opposizioni urlatrici e fuffarole, capaci solo di ruttare e scorreggiare idiozie ad alto volume? A chi esattamente devo credere?
Questi buffoni, che in un mondo normale sarebbero messi da una parte e trattati con l'accondiscendenza che - di solito - si riserva ai minus habentes, in realtà ci governano da decenni. Fanno ciò che vogliono. Passano da una sponda all'altra, senza nessun ritegno. Fanno cadere governi dall'oggi al domani. E ne fanno nascere di nuovi e sempre più improbabili, appena poche ore dopo. Chiedono le elezioni quando sono all'opposizione (con leggi elettorali demmerda), e costruiscono alleanze e maggioranze fantascientifiche pur di non crollare quando sono al governo. Lo fanno tutti, ripeto. TUTTI.
Anche quei caproni che oggi, dai balconi delle destre populiste e idiotiste, vogliono tornare alle urne.

Da qualsiasi parte uno si volti, non può fare a meno di vedere politici ignoranti, impreparati, incompetenti. Sono sempre di più. Sono presenti a ogni livello: dal governo centrale al parlamento; dai governi regionali fino ai comuni più piccoli. È un'epidemia peggio del Covid. Si spande a macchia d'olio e, se non riesce a eliminare i pochi intelligenti e "degni" che sono rimasti, allora li fagocita e anche quelli diventano idioti come per magia.

Tutti questi cialtroni non hanno nulla a che vedere con la politica, con la storia e con l'attualità del nostro Paese. Non hanno idee e visioni di nessun genere. Sono amebe senza forma o, peggio, senza spina dorsale. E cambiano parere e sponda prima ancora che cominci a soffiare il vento. Qualsiasi vento, da qualsiasi direzione.

Sono buoni solo per insultare gli avversari e per aizzare la rabbia sorda e sconclusionata dei milioni di imbecilli che li hanno votati.

Ma attenzione: quei milioni di imbecilli siamo noi, e sarebbe ora di fare piazza pulita di tutta questa merda che ingombra le nostre istituzioni. Sì perché, alla fine la soluzione è sempre la stessa: se non vogliamo politici e amministratori di merda (governanti, maggioranze e opposizioni, nessuno escluso), dovremmo smettere di essere un popolo di merda.

mercoledì 20 gennaio 2021

Daniele Mocci & Luca Usai story (2): CI VEDIAMO IN FACOLTÀ

La seconda puntata di questa rubrica dedicata ai lavori (soprattutto a fumetti) fatti da me insieme a Luca Usai è tutta per la serie di strisce umoristiche CI VEDIAMO IN FACOLTÀ.

Tra la fine degli anni '90 e i primi anni 2000, io e Luca sfornavamo personaggi, storie singole e serie a fumetti con un ritmo davvero notevole. Volevamo che qualche editore notasse il nostro lavoro e, intanto, partecipavamo a svariati concorsi nazionali per esordienti. Le storie (brevi) che mandavamo a quei concorsi finivano, poi, sulle pagine di Macchie d'Inchiostro, la rivista della nostra Associazione Chine Vaganti.

Ghigo e Pablo con Carlo, il barman, al Bar 18
Ci vediamo in Facoltà - serie 1 / striscia 02

Il 2001 cominciò bene, con l'uscita di FRANZISKA - aspirante giornalista  sulle pagine di un giornale pubblicato da un piccolo editore sardo (ne ho parlato nel primo episodio di questa rubrica, QUI). In realtà, Franziska non era certo il nostro primo personaggio, né l'unico a cui stavamo lavorando in quel periodo.

Beba e Tecla
Ci vediamo in Facoltà - stagione 1 / striscia 24

Proprio durante la lavorazione di Franziska, infatti, riuscimmo a entrare in contatto con l'editore Esselibri (Edizioni Simone) di Napoli, quello che ogni anno pubblica centinaia di manuali per la preparazione ai concorsi pubblici, oltre a svariate altre pubblicazioni nell'ambito della scolastica.

Filippo e Pablo si incrociano "in silenzio" davanti a Tecla
Ci vediamo in Facoltà - stagione 1 / striscia 29

Ci chiesero di ideare una serie di strisce umoristiche da pubblicare su un libro di latino per il biennio della scuola superiore italiana. Conoscemmo l'autrice, una bravissima e preparatissima professoressa cagliaritana, parlammo a lungo con lei e poi ci mettemmo all'opera.
Il lavoro piacque all'editore, che ci chiese immediatamente una nuova serie di strisce umoristiche per l'agenda universitaria in uscita a settembre, per l'anno accademico 2001-2002.

L'agenda universitaria Esselibri 2001-2002 in due differenti versioni

E così, tra le tavole di Franziska, le decine di strisce per quel libro di latino (di cui parlerò nella prossima puntata) e mille altri progetti in corso, io e Luca aprimmo anche questo nuovo "cantiere".
La mia esperienza universitaria, pur essendo a quell'epoca conclusa da più di quattro anni, giocò un ruolo fondamentale. Da essa attinsi a piene mani, rovistando nei miei ricordi, soprattutto in quelli del primo periodo, quando non conoscevo ancora l'ambiente e, un po' disorientato, cercavo di capirci qualcosa.

Filippo e Cenzo assistono alla prima "apparizione" del Professor Racosi
Ci vediamo in Facoltà - stagione 1 / striscia 13
Mi immaginai una serie di personaggi che potessero in qualche modo "riassumere" le tipologie di persone che popolano le università (o che, almeno, le popolavano a quei tempi): un riassunto condensato e semplificato, quasi stereotipato. Ma proprio per questo funzionale al nostro progetto.

Tecla e Beba all'esame
Ci vediamo in Facoltà - stagione 1 / striscia 18

Nacquero così personaggi come Pablo e Ghigo: il primo un po' rasta e un po' hippy, casinista, utopista, disilluso e (pseudo) rivoluzionario;
il secondo, belloccio e filibustiere, uno che non studia mai ma supera sempre gli esami in maniera brillante. Pablo e Ghigo sono amici inseparabili e frequentano molto più il Bar 18 che la facoltà.
Per questo motivo, Carlo, il barman, finirà per iscriversi all'università e cominciare a frequentare le lezioni, mentre quei due penseranno a tenergli d'occhio il bar.

Pablo al Bar 18 con Carlo, il barman
Ci vediamo in Facoltà - stagione 1 / striscia 20
Accanto a loro, CI VEDIAMO IN FACOLTÀ presentava un campionario di personaggi grazie ai quali io e Luca riuscimmo a farci un bel po' di risate anche durante la lavorazione della strip. Uno di questi era il "topo di facoltà" Vincenzo Pane, per gli amici Cenzo, ispirato - nel nome e nell'aspetto - a un celebre giornalista televisivo, ma - nella realtà - a quegli studenti che stavano sempre in facoltà e che, se avessero potuto, ci avrebbero pure dormito. Ne ho conosciuti alcuni anch'io. Sapevano tutto di tutti: nome, cognome, provenienza, idee politiche, preferenze religiose, gastronomiche e sessuali della stragrande maggioranza dei colleghi; vita privata dei professori; fatti e misfatti del bibliotecario e del personale non docente. Frequentavano tutti i corsi possibili, anche quelli non compresi nel loro piano di studi, poi rifrequentavano gli stessi corsi anche negli anni successivi (allora non c'erano i semestri). Nonostante questo, non riuscivano a passare più di un esame all'anno, con voti mai superiori al 19.
Cenzo parla con il preside
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 02

Poi c'erano Filippo (il "rigido" per antonomasia), Tecla (intelligente e geniale: figa nel cervello, ma non nell'aspetto fisico) e Roberta Bellepere, per gli amici Beba (l'esatto opposto di Tecla: figa nel corpo ma dal cervello non pervenuto).

Beba e Pablo
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 03

A completare la squadra, il Professor Racosi (come quello di Zagor, ma con la "C" al posto della "K"), tra gli studenti noto come Nosferatu: un vampiro in senso non solo figurato; la Signora Lia (non quella di Baglioni!), segretaria di facoltà e donna piuttosto "dritta"; Carlo, il già citato barman del Bar 18, autentico ritrovo per gli studenti in pausa.

Beba e la Signora Lia
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 13

La strip piacque all'editore che, l'anno dopo, ci commissionò la "seconda stagione" per l'agenda universitaria 2002-2003.

L'agenda universitaria Esselibri 2002-2003

Se la prima stagione si era incentrata sulla vita di facoltà e sulle relazioni tra i personaggi, la seconda ebbe come focus la riforma Berlinguer, che da lì in avanti avrebbe segnato l'inizio dell'università come la conosciamo oggi. Ai personaggi dell'anno prima, tutti rigorosamente confermati, ne aggiungemmo soltanto uno: La Matricola.

La Matricola e Ghigo di fronte all'aula del Prof. Racosi
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 20

A vent'anni di distanza dalla sue ideazione (e a quasi venti dalla pubblicazione della prima stagione) CI VEDIAMO IN FACOLTÀ è ancora una delle creazioni mie e di Luca che preferisco.
Mi piacerebbe davvero tanto riprenderla in mano per realizzare una nuova stagione e ritrovare quella banda di pazzi scatenati ancora alle prese con la vita di facoltà.

Filippo e Pablo
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 34

Cenzo parla con il preside
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 31
Carlo, il barman, e Pablo
Ci vediamo in Facoltà - stagione 2 / striscia 26

CI VEDIAMO IN FACOLTÀ è un'opera © Daniele Mocci & Luca Usai.

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lunedì 11 gennaio 2021

Daniele Mocci & Luca Usai story (1): FRANZISKA - aspirante giornalista

Con questo post inauguro una nuova rubrica senza periodicità fissa che ha l'obiettivo di parlare dei lavori più significativi che ho pubblicato insieme al mio carissimo amico e collega Luca Usai, soprattutto nell'ambito del fumetto.
Oggi "riesumerò" un personaggio che pochissimi (anche tra i nostri amici più stretti) conoscono e/o ricordano.

Ho conosciuto Luca nel 1998, in occasione delle premiazioni del concorso per fumettisti esordienti nel contesto della rassegna Nuvole Parlanti di Carbonia (Sud Sardegna). Una settimana dopo, Luca era già entrato nell'Associazione Chine Vaganti (fondata da me e da altri cinque malati di fumetto appena un anno prima).

In breve, io e Luca cominciammo a collaborare alla realizzazione di diverse storie a fumetti. Tra la fine degli anni '90 e i primi anni 2000, partecipammo ai più importanti concorsi nazionali per giovani autori, riuscendo a ottenere qualche preziosa vittoria e alcuni ottimi piazzamenti. Puntualmente, poi, quelle storie (e tante altre) finivano nelle pagine di Macchie d'Inchiostro, la storica rivista di Chine Vaganti, grazie alla quale abbiamo fatto palestra e affinato le nostre tecniche.

Fin dalla prima storia a fumetti fatta insieme, io e Luca abbiamo scoperto di avere un discreto feeling, e non solo per via dei numerosi interessi che avevamo (e ancora abbiamo!) in comune. Nel lavoro, infatti, siamo sempre stati molto simili (per quanto io sia uno sceneggiatore e lui un disegnatore): piuttosto esigenti con noi stessi; pignoli; votati al reperimento e allo studio di una gran mole di documentazione prima di cominciare qualsiasi progetto (sia storie di poche pagine che saghe e/o serie); affascinati dall'avventura e dall'umorismo, ma anche da un certo modo di intendere la satira sulle questioni di attualità.

Dopo alcuni anni di questo tran tran (su cui ci sarebbe da scrivere un tomo di mille pagine!), nel gennaio del 2001 arrivò per noi la prima vera occasione per pubblicare qualcosa con un editore che non fosse la nostra Associazione Chine Vaganti. Fummo contattati dal direttore del mensile di attualità La Gazzetta Sarda (Pròtos Sarda Editore, Oristano) che ci chiese una pagina a fumetti autoconclusiva per il suo giornale (formato quotidiano), con un personaggio "fisso" e un'ambientazione sarda.

Nacque così la serie FRANZISKA - aspirante giornalista.

Tavola autoconclusiva di Franziska n.1 (La corsa alla stella)
Marzo 2001

Franziska è una ragazza (sarda) appena diplomata che sogna di diventare una cronista della carta stampata. È a caccia della notizia giusta per un articolo di prova che lasci senza fiato la redazione del giornale da cui ha deciso di cominciare la sua carriera (La Gazzetta Sarda, guarda caso!). Purtroppo, l'inesperienza e la sfortuna le giocano dei brutti scherzi. E, così, al termine delle sue disavventure, finisce sempre piuttosto male: figure meschine, ricoveri in ospedale, minacce di linciaggio, ecc.

Consegnai la prima sceneggiatura di Franziska il 25 gennaio 2001. L'argomento era la celeberrima Sartiglia di Oristano.
Dopo l'approvazione del direttore de La Gazzetta Sarda, Luca cominciò a disegnarla. Fu pubblicata a marzo (sempre del 2001).

Prime vignette della tavola n.2 (Un ranger per il parco)
Aprile 2001

Per quanto io e Luca a quell'epoca avessimo già realizzato diverse storie e progettato almeno altre tre serie a fumetti, Franziska fu per noi il primo fumetto commissionato da un editore e, soprattutto, PAGATO (poco, per la verità... ma in quel momento vi posso assicurare che eravamo al settimo cielo!).

Prime vignette della tavola n.3 (Cercasi lavoro)
INEDITA

Ecco perché ho deciso di cominciare questa rubrica parlando proprio di lei. Del resto, proprio in questi giorni festeggiamo i vent'anni dalla sua creazione!

Ad aprile 2001 fu pubblicata la seconda storia di Franziska. Poi La Gazzetta Sarda chiuse i battenti. Gli episodi n. 3 e n. 4, che io e Luca avevamo già finito, rimasero inediti.

Prime vignette della tavola n.4 (Sorpresa rossoblù)
INEDITA

FRANZISKA - aspirante giornalista è un'opera © Daniele Mocci & Luca Usai.

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sabato 26 dicembre 2020

Tre miei racconti pubblicati su "Sardinia Post Magazine" nel 2020


Quando, nel 2001-2002, frequentavo il Master in Creative Content Writing a Milano presso l'Istituto Superiore di Comunicazione ("divisione" dell'Istituto Europeo di Design), uno dei docenti più brillanti ribadiva continuamente un concetto: secondo lui stavano ormai tramontando (o erano già tramontati) i tempi in cui un professionista della scrittura poteva permettersi di sviluppare il suo lavoro in un'unica direzione: solo narrativa, solo teatro, solo fumetto, solo cinema, solo comunicazione pubblicitaria, ecc. Le ragioni di un simile fenomeno non erano solo di natura economica, per quanto nel 2001-2002 fossero morti e sepolti i tempi in cui lo scrittore/sceneggiatore/copywriter/ecc. potesse sperare di guadagnare tanti soldi dal suo lavoro in senso stretto (almeno nella stragrande maggioranza dei casi). Lo scenario complessivo, infatti, era già stato investito dagli enormi mutamenti derivati dall'avvento della comunicazione digitale (in tutte le sue forme) e da un progressivo impoverimento/imbarbarimento del livello di alfabetizzazione REALE della popolazione.


In questa situazione, io, che fin da bambino amavo scrivere cose molto diverse, mi sentivo rincuorato (questione economica a parte). Se avessi sviluppato le conoscenze e le capacità necessarie, avrei potuto inserirmi in un contesto "multitasking", in cui scrivere sceneggiature per i fumetti non mi precludesse di scrivere anche per la narrativa, la comunicazione pubblicitaria, il teatro e anche altro.


Negli anni seguenti sviluppai appunto il mio lavoro su queste direttrici, tanto che oggi, quando devo spiegare a qualcuno che lavoro faccio, devo sempre premettere una domanda: "Quanto tempo ho?".

Le righe che ho appena scritto servono per contestualizzare meglio ciò che ogni anno, alla fine di dicembre, mi passa per la testa. Si tratta di un pensiero che parte in automatico nel mio cervello e che va alla ricerca della branca specifica della scrittura che ha prevalso nel mio operato di quella specifica annata.

Non c'è dubbio che, in questo 2020, sul gradino più alto del mio personalissimo podio ci sia la narrativa. Non solo per le conseguenze del romanzo L'ultimo giorno di primavera (Condaghes editrice, Cagliari), pubblicato alla fine del 2019, ma anche (e soprattutto) per alcuni lavori di cui non posso ancora svelare nulla.


Tra le tante "cose di narrativa" che mi sono passate per le mani quest'anno, ci sono tre miei racconti pubblicati sui numeri 23, 24 e 25 della rivista Sardinia Post Magazine (Ico 2006 editore, Cagliari) grazie alle sollecitazioni del mio amico giornalista Manuel Scordo.
I primi due racconti fanno parte di una raccolta che cominciai a scrivere nel lontanissimo 1999 e che non ho mai portato a termine (non ancora, per lo meno!). Si tratta di storie di donne, raccontate in prima persona dalle stesse protagoniste. Ne ho scelte due e le ho rimesse un po' a posto.
La prima, La strada di casa, in origine era intitolata Viaggio in Y10. La storia non ha subito nessuno stravolgimento di trama rispetto all'originale, ma gli oltre venti anni trascorsi dalla sua prima stesura (1999, appunto!) mi hanno aiutato a rileggerla e aggiustarla in alcuni punti cruciali.


La seconda storia, scritta nel 2002 proprio come esercizio del Master di cui ho parlato all'inizio, era intitolata semplicemente M., ma nella versione riveduta e corretta che è stata pubblicata su Sardinia Post, ho preferito aggiungere qualcosa: M. (ottobre a Milano).


Il terzo racconto pubblicato da Sardinia Post è, come si suol dire, tutta un'altra storia.
Scritto durante il lockdown di marzo-maggio 2020 e corredato da una splendida illustrazione di Antonio Lucchi, è stato pubblicato a fine ottobre 2020 nel libro antologico Cagliari 1970 - Tracce oltre la leggenda di Autori Vari, ideato e curato dall'Associazione Chine Vaganti (Catartica edizioni, Sassari), con il titolo Sant'Elia, aprile 1970. Sardinia Post lo ha ripubblicato un mese dopo, dando modo ai suoi lettori di avere un'anteprima sul volume da cui è tratto.


Si tratta di una storia ambientata a Cagliari nell'aprile del 1970, pochi giorni dopo la vittoria del mitico scudetto del Cagliari di Gigi Riva e Manlio Scopigno. La narrazione prende spunto da un fatto realmente accaduto nel quartiere popolare di Sant'Elia, in occasione della visita del Papa Paolo VI. Non aggiungo altro per non rovinare la lettura a qualcuno che non l'ha ancora letto (o su Sardinia Post o direttamente sul libro) e che, magari, ha in programma di leggerlo.


Oltre al grazie obbligato a Manuel Scordo e alla redazione di Sardinia Post Magazine, vorrei ringraziare tutte quelle persone che hanno dedicato qualche minuto del loro tempo a leggere questi tre racconti e, in alcuni casi, a farmi avere le loro impressioni.



sabato 19 dicembre 2020

Per Natale regalatevi un giorno di primavera!

Questo 2020 è stato un anno difficile per tutti.
Intendiamoci... non che gli ultimi vent'anni siano stati proprio una passeggiata. Tuttavia, sul fatto che il 2020 ci abbia sommerso di problemi e difficoltà credo che ci possiamo trovare d'accordo.

Anche il mio romanzo L'ultimo giorno di primavera, pubblicato dalla casa editrice Condaghes di Cagliari nel dicembre del 2019, ha patito una serie di "privazioni" derivate dall'impossibilità di fare un congruo numero di presentazioni in giro. Quantomeno nella mia regione, la Sardegna.

Le poche presentazioni fatte sono state molto belle e, in alcuni casi, assai toccanti.
Qualcosa, poi, si è potuto recuperare con gli eventi online. Ma per quanto internet e la tecnologia ci aiutino, non possono sostituire gli incontri in presenza e, soprattutto, non hanno le caratteristiche per restituire lo stesso impatto emotivo di un incontro nel mondo reale.

Fatte queste (scontate) considerazioni, lasciatemi dire GRAZIE a tutti coloro che hanno acquistato il libro. A tutti coloro che lo hanno letto e che, nei modi più disparati, hanno espresso un parere o una sensazione. A tutti coloro che lo hanno regalato. E a tutti coloro che lo hanno portato nelle scuole per farlo conoscere ai lettori più giovani. Siete stati meravigliosi, e mi avete dato la misura di quanto valga la pena di continuare a proporlo anche nel corso del 2021. Se non altro per arrivare a quelle persone che ancora non lo conoscono e che potrebbero incuriosirsi dai suoi contenuti e dai temi che tratta.

In questi nostri tempi, la maggior parte dei libri "dura poco".
Se un titolo riesce a resistere negli scaffali delle librerie per un anno è già qualcosa di straordinario. Stesso dicasi sulla tenuta e sulla quantità delle presentazioni in giro per fiere, festival ed eventi culturali di varia natura.

Eppure, da gennaio 2021, dovrò far finta che L'ultimo giorno di primavera sia appena uscito, in modo da fargli vivere almeno una piccola parte di quello che si è perso nel 2020.
Vorrà dire che mi rimboccherò le maniche ancora di più. E, con me, dovranno rimboccarsele (se vorranno!) tutti quelli che pensano ne valga la pena!

Intanto, ne approfitto per augurarvi BUONE FESTE e per darvi un piccolo suggerimento:
PER NATALE
REGALATEVI UN GIORNO DI PRIMAVERA!

O, magari, regalatelo a qualcuno a cui volete bene.
Che sia bambino, ragazzo o adulto. Figlio, genitore o nonno.
Non ci sono età prestabilite per leggere questa storia.

#lultimogiornodiprimavera

sabato 28 novembre 2020

Di arte, di cultura, di fumetto, di ignoranza e (naturalmente) di supercazzole

Cesare Maria Pietroiusti
Presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo di Roma

La parola e il concetto di ARTE (così come quella/quello di ARTISTA) mi hanno sempre messo in difficoltà.
I motivi sono tantissimi, a cominciare dal significato della parola ARTE. Anzi, dai diversi significati che ha, che può assumere e che le vengono attribuiti. Per mantenermi il più neutrale possibile, almeno in queste prime righe, vi rimando alla pagina del dizionario Treccani in cui si illustrano i principali significati (click QUI per leggerla).
Ma il discorso non si ferma certo alla definizione "treccaniana", sia per la complessità degli argomenti in gioco, che per la varietà dei cervelli umani che continuano ad attribuire significati, interpretazioni e sfumature sempre differenti. Da una parte, questa proliferazione di significati, interpretazioni e sfumature è senz'altro normale per via dei tempi e dei contesti che cambiano: nel Rinascimento ARTE e ARTISTA, con buone probabilità, avevano accezioni differenti da quelle di oggi. O, se non differenti, probabilmente più limitate e circoscritte. Dall'altra parte, l'analfabetismo di ritorno che interessa la nostra epoca da almeno trent'anni, porta milioni di persone a considerare ARTE anche quella di un/una qualsiasi presentatore/trice blateratore/trice di talk show televisivo o quella di un/una valletto/a capace a malapena di esibire le sue grazie (per fare solo due esempi presi dal mucchio).
Di conseguenza, una miriade di persone/personaggi mediocri e dotati solo di parlantina "a mitraglia" o di corpi attraenti si trasformano automaticamente in ARTISTI per l'opinione pubblica media.
La tendenza va sempre più nella direzione di sovrapporre automaticamente i concetti di ARTE/ARTISTA con quelli di INTRATTENIMENTO/INTRATTENITORE senza quasi prevedere più che un artista non per forza deve essere intrattenitore (e viceversa): può succedere, ma non è sempre valido. Stessa cosa vale per gli accostamenti tra ARTE/ARTISTA con INDIVIDUI CAPACI DI DIRE/FARE COSE ECLATANTI, STUPEFACENTI, DISTURBANTI O AVANGUARDISTICHE.
La costante perdita di parole nel nostro vocabolario quotidiano ci fa raggruppare in categorie improprie una serie di concetti che in realtà andrebbero collocati in categorie differenti. Ma, appunto, non abbiamo più a disposizione i vocaboli (e quindi le categorie) per farlo. E così la sintesi diventa banale semplificazione, con il risultato di rendere tutti più ignoranti, incapaci e inconsapevoli.

E ora veniamo al punto.

Qualche giorno fa, sulle pagine del quotidiano Il Messaggero, Cesare Maria Pietroiusti (artista/avanguardista nonché presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo - ente pubblico di Roma Capitale) ha dato l'avviso di sfratto al celebre festival del fumetto ARF dai locali dell'ex Mattatoio di Testaccio, in cui il festival si tiene da diversi anni. Queste sono le sue parole: "(il mandato ricevuto dall'Amministrazione Capitolina) prevede la valorizzazione del Mattatoio come spazio di formazione, didattica, produzione e presentazione delle pratiche legate alle arti performative". Poi, ancora: "Tutte le mostre saranno a cavallo tra arti visive e performative. Grande spazio sarà dato alla formazione (...)" e (il fumetto) "difficilmente potrebbe rientrare nelle arti performative". Infine: "Il festival ha una parte commerciale, e affinché una sezione economica possa essere contemplata occorre una motivazione culturale".
In soldoni, Pietroiusti dice che il Festival ARF non può più stare all'ex Mattatoio di Testaccio perché il fumetto non è un'arte performativa (e forse neanche visiva); con il fumetto non si fa didattica e/o formazione; la parte commerciale del festival non è sorretta da una motivazione culturale.
Insomma, Pietroiusti, che, come si evince dall'immagine in apertura e da quella qui sotto, è un artista visivo-performativo che fa didattica e formazione e che non si sognerebbe mai di commercializzare la sua arte senza una motivazione culturale, non ne azzecca nemmeno una.

Pietroiusti durante una sua performance artistico/avanguardista

Perché?

1) Il fumetto, linguaggio visivo per sua stessa natura, è (o, comunque, può essere) ARTE. Non tutti i fumetti sono arte, questo lo sanno anche gli asini, così come anche gli asini sanno che non tutti i film, i quadri, le opere teatrali, le opere musicali, le sculture e le performance avanguardistiche sono arte. Quindi, per la proprietà transitiva, il fumetto è (o, comunque, può essere) ARTE VISIVA.
E questo è un dato oggettivo. Solo un ignorante può sostenere il contrario.

2) Il fumetto è (o, comunque, può essere) ARTE PERFORMATIVA.
Vent'anni fa, la "mia" associazione culturale nata nel 1997 per lo studio, la diffusione e la promozione del fumetto (Chine Vaganti) fu invitata in un comune della Sardegna in cui si teneva l'incontro dei Consigli Comunali dei Ragazzi di svariati comuni di tutta l'isola.
Si fecero mille iniziative all'aperto, nelle strade e nelle piazze del paese. Centinaia di bambini, ragazzini e adulti furono coinvolti in una miriade di attività ludiche, didattiche, formative e culturali, tra cui le nostre legate al fumetto e al linguaggio per immagini (ARTE VISIVA? Chissà...). I nostri disegnatori si produssero in realizzazioni dal vivo, di fronte a questa marea di persone, disegnando tavole a fumetti su fogli di varie grandezze, da sceneggiature che io e altri sceneggiatori come me avevamo scritto nelle settimane precedenti.
Questo microscopico esempio non è certo né il primo, né l'unico, né l'ultimo e né il più rilevante delle migliaia di altri che da sempre autori (piccoli, medi, grandi e grandissimi), fiere e festival di settore fanno in tutta Italia e in tutto il mondo:
- sceneggiatori riuniti in grandi stanzoni che lavorano a più mani contemporaneamente;
- disegnatori che lavorano con matite, inchiostro di china e/o colori di varia natura su supporti reali (carta, pannelli di altri materiali, muri, ecc.) o virtuali (schermi collegati alle loro tavolette grafiche, ecc.).
Il tutto come esperienze dal vivo, di fronte e a contatto con il pubblico. A quel che mi risulta, l'ARF lo ha sempre fatto, coinvolgendo anche autori di grandissimo livello, che sono assolutamente considerabili e considerati ARTISTI.
Anche la capacità performativa del fumetto è, dunque, un dato di fatto. Solo un ignorante può sostenere il contrario.
Su questo punto aggiungo una piccola nota finale: ma che definizione di merda è "ARTE PERFORMATIVA"? Bleah!

Altra performance artistico/avanguardista di Pietroiusti

Performance fumettistica al Festival ARF (Roma)

Performance fumettistica al Festival ARF (Roma)

3) Il fumetto, come e più di molte altre arti, è un veicolo incredibilmente efficace e STRA USATO da sempre per la DIDATTICA e la FORMAZIONE. E non parlo solo delle tantissime ed eccellenti scuole di fumetto che troviamo in tutta Italia e in tutto il mondo.
Mi riferisco anche alla fenomenale funzione che esso può avere nella didattica a tutti i livelli. Basti pensare a quanto sia utilizzato nei processi di educazione all'immagine per i bambini e i ragazzini (giusto per tornare al fatto che sia o meno un'ARTE VISIVA). Basti pensare a come educa le persone a decodificare e correlare il linguaggio delle parole e quello delle immagini. E a quanto possa essere determinante per lo sviluppo dei processi di logica di base, in virtù della sua peculiare (e certificata) caratteristica di ARTE SEQUENZIALE (definizione coniata da quel genio di Will Eisner, uno degli artisti del fumetto più importanti di ogni epoca). Se poi qualcuno non dovesse aver mai sentito parlare di arte sequenziale in riferimento al fumetto, e se non sapesse a cosa si riferisca, allora è ancora una volta un problema di ignoranza.

Dal 1998, io faccio corsi e laboratori di fumetto nelle scuole (primarie, secondarie di primo e secondo grado, svariate situazioni extrascolastiche, Scuola di fumetto Fumé di Cagliari). Una volta ho portato il fumetto anche all'Università di Cagliari, grazie a un gruppo di studio sul fumetto costituito da (e di) docenti del medesimo ateneo, insieme ad alcuni altri docenti universitari di Roma e Nanterre. Ho fatto ormai centinaia di corsi, laboratori, workshop, mostre e altre attività legate al fumetto con migliaia di allievi. Attraverso il fumetto, i miei allievi hanno studiato e approfondito fatti e personaggi storici, geografia, opere della letteratura, problematiche legate alla salvaguardia dell'ambiente, ai sentimenti, a questioni sociali, alla protezione degli animali a rischio di estinzione. In alcune circostanze ho mixato il linguaggio del fumetto con quello del teatro e con altri linguaggi. Ho lavorato con bambini e ragazzini su questioni relative all'emancipazione femminile, portando in giro uno dei libri a fumetti che ho scritto e pubblicato. E questo, solo per restare nel mio ambito microscopico.
Per ampliare il campo, dico che queste cose le fanno una miriade di altri autori e operatori del settore in mille contesti differenti: dalla scuola pubblica a quella privata, dagli enti pubblici alle biblioteche, dalle librerie ai musei, dalle associazioni alle aziende private, dalle fiere ai festival culturali, ARF compreso (con workshop, laboratori esperienziali, masterclass anche di altissimo livello, ecc.).
Senza contare quanto il linguaggio del fumetto sia utilizzato nelle accademie e nelle scuole d'arte, così come in corsi e scuole di comunicazione, come materia "apripista" e spesso propedeutica per un ventaglio ampissimo di linguaggi artistici e creativi.
Tutte queste cose sulla valenza didattica e formativa del fumetto sono ennesimi dati di fatto. Solo un ignorante può sostenere il contrario.

Fumetto e didattica al Festival ARF (Roma)

Fumetto e formazione al Festival ARF (Roma)

4) Introduco quest'ultimo punto con una serie di domande: quando un pittore vende quadri nel contesto di mostre, fiere e festival di settore, forse non incassa dei soldi per i suoi lavori (o per le riproduzioni/stampe degli stessi)? Qualcuno obietta qualcosa? E se lo fa uno scultore nei contesti appropriati, che succede? Quando si va ad assistere a spettacoli teatrali o musicali, forse non si paga il biglietto? Forse qualcuno ha da obiettare per questo?
Tutto va bene finché non ci sono i famigerati fumetti di mezzo: quei "disegnetti" che ancora qualcuno si ostina pervicacemente a considerare lo scarto dello scarto, ignorando che il fumetto, da sempre e in tutto il mondo, Italia compresa, ha partorito (e continua a partorire) artisti di caratura elevatissima e opere d'arte immortali, spesso rivoluzionarie e, in ogni caso, straordinarie.
Perché dunque l'artista/avanguardista nonché presidente dell'Azienda Speciale Palaexpo di Roma deve porre la questione della necessità di una "MOTIVAZIONE CULTURALE" per l'esistenza di una sezione dedicata al commercio SOLO ED ESCLUSIVAMENTE in rapporto ai fumetti dell'ARF? Forse dà per scontato che in un festival di pittura o scultura o teatro quella motivazione ci sia già per il solo fatto che si tratta di pittura, scultura o teatro, mentre per il fumetto no? Sulla base di quale teoria, convinzione o ragionamento? Sembra evidente che il suddetto artista/avanguardista/presidente ignori totalmente la recente azione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che, attraverso la sua Direzione Generale Creatività Contemporanea, riconosce e include formalmente il fumetto tra le discipline di cui già si occupa: arte contemporanea, architettura, fotografia, videoarte e arti applicate, moda, design.

Che il fumetto fosse un generatore e un veicolo di CULTURA è l'ennesimo dato di fatto che sapevano già tutti, anche gli asini. Solo un ignorante, anzi, un asino ignorante può sostenere il contrario.

L'ARF è uno dei tantissimi festival che sostengono
e promuovono il valore culturale del fumetto

Chiudo con qualche altro quesito.

Ha più rilevanza culturale il fumetto o certa pseudo arte performativa in cui certi pseudo artisti avanguardisti compiono gesti astrusi, eclatanti o perfino idioti, nella vana speranza di scioccare, colpire o turbare qualcuno? Ha più valore culturale la storia mondiale e ultracentenaria di un medium come il fumetto o le supercazzole che certi artisti avanguardisti cercano di somministrare al pubblico per giustificarsi di aver defecato nudi in un parco?
Lei, caro signor Pietroiusti, sa qual è la risposta?
Eh, no che non lo sa! Come non sapeva nessuna delle cose che ha sparato a vanvera sul fumetto per giustificare lo sfratto dell'ARF dall'ex Mattatoio di Testaccio.
Bene, gliela dico io.
La risposta è che se per lei ha più valore la pseudo arte performativa proposta dallo pseudo artista supercazzolaro, la stragrande maggioranza dei fumettisti non si pone neppure il problema. Perché per la stragrande maggioranza dei fumettisti ogni forma di espressione, se è onesta intellettualmente, ha la medesima dignità e ha gli stessi diritti di essere praticata e proposta al pubblico.
Per cui, scenda dal suo piedistallo e, se è davvero l'artista che dice di essere, ragioni con una mentalità votata al dialogo e, soprattutto, alla conoscenza e alla comprensione profonda di ciò che non conosce. Smetta di osteggiare chi è diverso da lei e dal suo mondo. Sia capace di vedere e di ascoltare. Del resto, lo stipendio che lei percepisce quale presidente dell'ente a cui è stato messo a capo, la obbliga deontologicamente a essere un "dirigente di cultura" e non un talebano settario e squadrista.
Faccia la cortesia, svolga con spirito di servizio il suo lavoro.
Oppure lo lasci fare a qualcun altro più dotato, più qualificato, più intelligente, meno snob, meno arrogante e meno ignorante di lei.


Nota (1): ho preso le immagini di Pietroiusti da alcuni siti web facilmente rintracciabili da chiunque.

Nota (2): ho preso le immagini del festival ARF dalla pagina facebook dello stesso festival. Le scritte in quelle foto (ironicamente polemiche) sono state inserite degli stessi organizzatori dell'ARF, a indicare tutto ciò che Pietroiusti non riconosce al medium fumetto e al festival ARF: caratteri che, in realtà, sono parte integrante DA SEMPRE sia dell'uno che dell'altro.
Beata (o maledetta) ignoranza!

domenica 22 novembre 2020

Come NON si scrive una storia: il caso del nuovo spot di Telefono Azzurro













Pochi giorni fa è stato lanciato il nuovo spot del Telefono Azzurro.
Ci sono una marea di cose sbagliate in questo "lavoro", realizzato dall’agenzia di comunicazione Havas Milan (un grosso network con quartier generale a New York, 20.000 dipendenti in 100 Paesi del mondo e due sedi italiane a Milano e Roma) con l'approvazione convinta dei vertici dello stesso Telefono Azzurro.
I problemi (gravissimi) riguardano proprio l'ideazione, la scrittura e la realizzazione dello spot, e vengono molto prima delle implicazioni “a valle” che hanno scatenato (a buon diritto) l’ira degli amanti degli animali e degli animalisti (due “categorie” non necessariamente coincidenti), degli educatori e di moltissimi cittadini italiani.
Sono lacune (ma è più appropriato parlare di voragini) di natura tecnica e creativa. Errori che qualsiasi studente di un corso base di comunicazione risolverebbe, grazie ai suoi docenti e a una sufficiente applicazione negli studi, fin dalle primissime lezioni.
Ne indico alcuni.

1) La decisione di ambientare la vicenda in una situazione di emergenza che richiama, in via prioritaria, l’intervento dei Vigili del Fuoco e non del Telefono Azzurro. Questo è il primo errore grossolano: se vuoi parlare di un problema (specie in uno spot di pochi secondi), concentra l’attenzione del pubblico su quel problema, senza disperderla in altre direzioni.

2) La presenza del cane. Il motivo è lo stesso del punto 1. Perché aggiungere un altro elemento di “distrazione”, se l'obiettivo è parlare dei bambini? Anche in questo caso, si aggiunge un problema al problema. E cominciano a venire i dubbi su quale sia la vera missione da compiere, quale l’obiettivo da raggiungere, quale il target di riferimento: a chi sta parlando questo spot? Agli adulti? Ai bambini? Agli animalisti? Ai sostenitori della supremazia dell’essere umano nei confronti degli animali?

3) La “pseudo metafora” che i vertici del Telefono Azzurro hanno tirato goffamente in ballo, dopo le accuse piovute da tutta Italia: il tizio che salva il cane non avrebbe – SECONDO LORO – scelto tra il cane e i bambini, ma avrebbe salvato il cane come metafora del fatto che i bambini ai suoi occhi sono invisibili. Beh, cari miei, le metafore sono tutta un’altra cosa. Questa non è e non può essere una metafora. Andare a scuola, please!

4) L’hashtag “primaibambini”: una roba che fa venire i brividi e che si commenta da sola. Ma che soprattutto distrugge in modo definitivo la scusa della “metafora” tirata in ballo dai vertici del Telefono Azzurro: infatti, con l’hashtag “primaibambini” si sta mettendo chiaramente in evidenza LA SCELTA CONSAPEVOLE che il tizio fa tra il salvataggio del cane e quello dei bambini. Una maldestra contraddizione, quindi, che fa incavolare ancora di più le folle (chi è causa del suo mal…).

5) Nel finale non si capisce quale debba essere il pensiero che il pubblico deve partorire: i due bambini dovrebbero chiamare il Telefono Azzurro per “denunciare” il tizio che ha salvato il cane e non loro? Oppure dovrebbero chiamare i Vigili del Fuoco per farsi salvare la vita? (ammesso che, in quella condizione siano in grado di fare una telefonata a qualcuno!).

6) In tutto lo spot è pressoché impossibile per qualsiasi spettatore identificarsi in uno dei personaggi o nella situazione raccontata. E questo è piuttosto curioso, in uno spot che pretende dichiaratamente di essere scioccante e provocatorio! Se nessuno si identifica in niente, spiegatemi voi, cari geni del Telefono Azzurro o dell’agenzia di comunicazione Havas Milan, come possiamo scioccare o provocare! L’unica provocazione che suscita questo “lavoro” è quella sull’intelligenza dello spettatore! E infatti, a mio parere, questa robaccia ha fatto indignare tutti non tanto e non solo per la scelta (irreale/surreale) tra cane e bambini, quanto perché tratta gli spettatori da idioti.

7) Alla fine dello spot, nei penosi testi che appaiono in video, c’è pure il riferimento a questi tempi “di pandemia”. La domanda parte in automatico: cosa c’entra la pandemia, in rapporto a tutto quello che vediamo nello spot? La risposta è, ovviamente, NIENTE DI NIENTE. Ma, tanto… tutto fa brodo, giusto? L’importante è che se ne parli. Che tristezza!

8) Indisponente è, poi, anche il richiamo agli action movie americani: nella situazione alla “Die Hard”, nella colonna sonora, nel tizio-eroe che, mentre tutti fuggono via dal palazzo in fiamme, decide con “encomiabile coraggio e sprezzo del pericolo” di salire su per le scale per compiere il suo gesto/atto eroico (è del tutto evidente che lo fa solo per lo spettatore e non per se stesso o per chi potrebbe/dovrebbe/vorrebbe salvare). Insomma: è tutto finto, fasullo, farlocco e posticcio. Non c’è un solo grammo di coinvolgimento emotivo. Non c’è il benché minimo briciolo di empatia.

9) Ah, poi… ovviamente i bambini non strillano (così... magari per farsi notare... magari per “risvegliare” il tizio-eroe dalla sua presunta e assolutamente NON credibile cecità che gli fa vedere e salvare solo il cane!).

10) I vertici di Telefono Azzurro hanno dichiarato che l’obiettivo di questo spot era quello di attirare l’attenzione sul problema dei bambini (ancora più bistrattati e ignorati del normale, in questo periodo di pandemia). E hanno deciso di farlo in modo duro e scioccante. Tuttavia, non hanno attirato l’attenzione di nessuno sul problema dei bambini, anche perché produrre uno spot-porcheria non vuol dire scioccare. Per scioccare qualcuno in uno spot di pochi secondi, occorre focalizzarsi su un argomento/questione e lavorare a fondo su quello. Qui si è aggiunto di tutto e, alla fine, il problema dei bambini in rapporto alla mission di Telefono Azzurro è sparito dai radar. Anzi, non c’è mai stato, dal primo all’ultimo fotogramma. In comunicazione NON si lavora così. E la creatività non è aggiungere un incendio in cui un tizio-eroe alla Bruce Willis risale le scale come un salmone, mentre tutti gli altri fuggono via dal palazzo in fiamme. Non è far salvare un cane al tizio-eroe-Bruce-Willis, mentre due bambini sono lì, accanto al cane, e lui nemmeno li vede! Scioccare il pubblico con la creatività si può anche fare. Ma, obiettivamente, questo spot può soltanto fare inorridire non solo lo spettatore medio, ma qualsiasi persona che abbia un’infarinatura (anche minima) di come si scrive una storia.

Insomma...
Soggetto, sceneggiatura e regia: sbagliati, sballati e atroci in senso assoluto (sarebbe bastata una sommaria lettura dello script per capire immediatamente che questo “lavoro” era destinato a diventare un bagno di sangue, un flop totale, un naufragio penoso).
Obiettivi di comunicazione: inesistenti.
Target di riferimento: non pervenuto.
Tono della comunicazione: cannato in pieno.
Conoscenza del cliente (Telefono Azzurro) e della sua mission: zero (ma non solo da parte dell’agenzia di comunicazione; perfino il cliente, infatti, ha dimostrato di non conoscere se stesso; il che farebbe anche ridere, se non ci fosse di mezzo il rispetto per i bambini!).
Deontologia professionale: sotto la suola delle scarpe.

P.S.: non metto il link al video (pubblicato sulle pagine facebook di Telefono Azzurro e dell’agenzia Havas Milan) per il semplice motivo che non voglio contribuire a dargli visibilità su un mio “canale”. Ma potete facilmente trovarlo, almeno finché qualche autorità con un po’ di sale in zucca non lo bloccherà, costringendo i suoi autori a cancellarlo per sempre, per oltraggio all’umana intelligenza. Mi è costata una grande fatica pubblicare anche solo l’immagine che vedete al principio di questo post, in cui si possono leggere le pessime parole che appaiono in video nella parte finale di questo obbrobrio.

P.S. (2): lo spot è stato ritirato stasera stessa (22 novembre 2020). Era davvero l'unica cosa da fare. Amen.